Cultura e Spettacoli

Mario Dondero, il fotografo mai in posa

Era famoso per ritrarre i grandi personaggi nella loro spontaneità

Mario Dondero, il fotografo mai in posa

Mario Dondero era nato a Milano nel 1928, da una famiglia di origini genovesi. Il grande fotografo e fotoreporter, celebre per le istantanee scattate agli scrittori del '900, viveva da alcuni anni a Fermo, nelle Marche, dove è morto domenica, a 87 anni.

Mario Dondero, tra i fotografi italiani più importanti del Novecento, è morto domenica sera dopo una lunga malattia nella sua casa di Fermo, nelle Marche. Aveva 87 anni. Leica al collo, passo rapido, sguardo attento, parola gentile, abiti dimessi: a molti manca già il suo occhio vigile sul mondo, il suo stile così anti-artistar. Eppure per una vita lo ha fatto finché la malattia glielo ha concesso è stato testimone in prima fila del suo tempo, ha girato il mondo, ha fotografato tutti i più grandi.

In ordine sparso, intellettuali come De Chirico, Ungaretti, Jean-Paul Sartre, Neruda, artisti come Maria Callas, Fellini, Pasolini e poi i politici da Fidel Castro a Ronald Reagan, da Krusciov a Gorbaciov. Famiglia genovese, natali a Milano, Dondero si accosta alla fotografia quasi per caso: ai tavolini del bar Jamaica chiacchiera con Tadini e Balestrini, ammira i lavori di Capa e Cartier-Bresson. Da ragazzino ha visto la guerra da vicino: è stato partigiano in Val d'Ossola e l'ansia di correre e vedere non lo abbandona più. Va a Parigi, collabora con varie testate (L'Espresso, Le Monde), sempre alla ricerca di storie. Secondo François Mauriac fu il suo celeberrimo scatto davanti alle Editions du Minuit, una foto in bianco e nero del '59, a inventare il nouveau roman (c'era anche Samuel Beckett in foto: non era ancora così famoso). Il suo sguardo curioso e appassionato lo porta a collaborare poi con il mondo della moda e soprattutto a viaggiare in mezzo mondo: in Nord Africa, in America Latina, in Russia, in Afghanistan, a volte anche in situazioni rischiose.

I suoi reportage di rado sono perfetti: come nella vita, Mario Dondero ritrae le cose quando non sono a posto e rifugge i posati, i cromatismi, il digitale, la ricerca spasmodica dell'angolazione ideale. Se le sue foto sembrano sempre calde e vere lo si deve al tempo passato con le persone e nei posti ritratti.Quando, giusto un anno fa, alle Terme di Diocleziano di Roma il fotografo presentò per la prima volta riuniti insieme tutti i suoi scatti migliori, abbiamo potuto ammirare 250 lavori in bianco e nero e a colori, testimoni dei cambiamenti politici e sociali degli ultimi sessant'anni.

E sorprende, dandoci il peso del suo valore, che una sola persona (un solo paio di occhi) sia stata capace di testimoniare, con pari onestà e dedizione, il dramma dell'Afghanistan, i conflitti in Marocco, la contestazione in Italia, il '68 francese, la caduta del muro di Berlino, lo sguardo languido della Sandrelli e, negli ultimi anni, la pacata bellezza delle Marche, amato rifugio.

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