Cultura e Spettacoli

Modigliani (ri)conquista la sua Livorno

Un pugno di capolavori «certificati» nel museo poco distante dal canale della famosa beffa

Modigliani (ri)conquista la sua Livorno

Artista delicato e uomo altrettanto fragile, né in vita né in morte, Amedeo Modigliani (Livorno, 1884 - Parigi, 1920), a quasi cento anni esatti dalla morte, riappare in una mostra - l'agognata e desiderata «mostra di Livorno» - nella sua città natale, e vedendo il flusso di visitatori dei primi giorni, con grande successo: Modigliani e l'avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre aperta al Museo della Città (fino al 16 febbraio 2020).

Strano l'accanimento che vita e morte rivolsero a quest'uomo bellissimo di aspetto, colto, generoso, ma irrequieto e instabile: autodidatta in pittura, se non per brevi frequentazioni che lo portarono addirittura a condividere con Plinio Nomellini alcune delle ultime lezioni che Giovanni Fattori impartiva all'Accademia di Firenze, aveva proseguito la sua formazione a Venezia, ma nulla si sa di questo periodo strano, accertato solo dal certificato d'iscrizione, che poi lo vide lasciare rapidamente l'Italia per la strada di Parigi.

Neppure le scuole aveva potuto frequentare nella nativa Livorno, data la successione di crisi polmonari che gli impedivano di condurre una vita normale. Apprende infatti i primi rudimenti dalla madre Eugénie Garsin, in casa, una signora che, dopo l'allontanamento del marito, aveva organizzato una piccola scuola privata frequentata dai figli di alcune famiglie ebree. Modigliani era, soprattutto, un completo autodidatta in scultura, ed ecco perché, tra le ingenuità e le sintetiche riduzioni dei suoi volti a maschere «primitive», come si diceva un tempo, i suoi progetti da scultore franarono uno dopo l'altro, ponendo le basi dello scandalo delle teste ripescate nei Fossi di Livorno, tre statue, un'attesa spasmodica sulle rive dai canali, lunghe ombre che confondono la débacle di alcuni tra i maggiori storici d'arte del tempo, e, addirittura, ombre di complotti,e la morte improvvisa della figlia Jeanne che morì a Parigi la notte stessa del ritrovamento.

La storia di questo artista, la cui fine fu seguita dall'immediato suicidio della compagna incinta del secondo figlio, continua a scorrere tra scandali e battaglie legali, e se un'amica modella diceva che già negli anni '50 il numero di dipinti a lui attribuiti era sicuramente il doppio di quelli realmente eseguiti, le vicende più recenti sembrano proseguire una sconcertante vicenda di copie, mostre chiuse dalla polizia, false attribuzioni, battaglie legali e addirittura un arresto.

Parce sepulto? No, perché la mostra che, per le cure di Marc Restellini e la direzione di Sergio Risaliti, onora per la prima volta Modigliani nella sua città natale, schiude altri scaldali, litigi, interpellanze, sospetti. I 14 dipinti e i 12 disegni esposti nel nuovissimo Museo della città di Livorno, discendono da collezioni certe e senza macchia - Paul Alexandre e Jonas Netter - e restituiscono a uno dei grandi pittori della nostra storia l'aura della bellezza, nel senso più puro del termine, l'irraggiungibile altezza della sua solitudine, la continua oscillazione tra Italia e Francia, nel gusto, nell'amore per la storia, per la scultura medievale come per Dante, di cui, dipingendo, recitava lunghi passi a memoria.

La mostra, accompagnata da una ricchissima antologia degli artisti che gli furono accanto - amici, come Maurice Utrillo e Chaïm Soutine, Moïse Kisling, amiche come Suzanne Valadon - andrebbe vista senza le infernali polemiche che avvelenano l'Italia e i suoi figli migliori: dobbiamo parlare di cifre e di Fondazioni di fronte allo sguardo sperduto ma ancora teneramente speranzoso della Ragazzina in blu? Nutriamo ancora dubbi sull'opaco sguardo di Chaïm Soutine abbandonato sulla sedia in un cappotto informe? Guardiamo Elvira col colletto bianco, uno degli estremi capolavori, un dipinto che accosta la predilezione per il gesto quattrocentesco di poggiare lievemente le mani in grembo lasciando immobile la testa, che appena volge a sinistra la sua sublime tristezza, rivolgiamo un saluto alle immagini di quella ragazzina dalla folta chioma rossa che lo fece impazzire d'amore, gli dette la figlia, lo seguì nel folle volo compiuto subito dopo la morte dell'amato.

Quando Amedeo morì, Jéanne Hebuterne lo ritrasse ossessivamente. L'aveva fatto Tintoretto con la figlia Marietta, e Claude Monet con l'adorata Camille. Ecco qui un Modigliani che si riprende dagli eccessi delle droghe, del vino, delle intemperanze: qui lo si vede entrare in quell'empireo da cui chissà quale strana forza lo volle far uscire.

Non aveva neppure disertato la Prima guerra, come sempre si legge erroneamente, e come invece aveva serenamente fatto Picasso, rivale non sempre amico: era stato riformato, e se ne andò vagando per i parchi, troppo infelice di non aver potuto celebrare il suo Paese non solo con la sua pittura, ma con la sua malattia, la sua gracile vita, il suo amore per Dante e per i trecenteschi senesi.

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