Cultura e Spettacoli

Pacifismo, ecologia, genere: i soliti temi e i soliti protagonisti

Gli editori sgraditi? Esclusi. Si parla solo di "certe cause". E i relatori sono sempre gli stessi, legati a triplo filo

Pacifismo, ecologia, genere: i soliti temi e i soliti protagonisti

Torino - Anche i puri tengono famiglia. A corollario della polemica che ha coinvolto il direttore del Salone Lagioia, notiamo che la fiera di Torino è ormai diventata talmente inclusiva da risultare esclusiva per tutti gli altri. Abbiamo notizia (senza fare i nomi per non causare dannazioni perpetue) di scrittori e editori di tutto rispetto, in campo da decenni, a cui la direzione di questa baracca ha negato spazio e facoltà di parola. Forse erano colpevoli di non aver proposto interventi su uno o più dei seguenti temi: violenza di genere, linguaggio non binario, difesa degli omosessuali bullizzati, pacifismo da salotto, ecologia generica. In compenso, basta scorrere i nomi di quelli che parlano sempre, per accorgersi della vastità di spazio pubblico loro garantito. Praterie. Anche qui, non faremmo nomi, anche perché chiunque può andare a controllare di persona sul sito di questo Minculpop di detentori delle chiavi d'accesso.

Narcisisti invadenti che si costruiscono la carrierina sull'ecolalia del loro Verbo infuso. Ecco le istruzioni per fare come loro: come avrebbe detto Eduardo De Filippo «Mettiti un povero al fianco, ci camperai tutta la vita». Parafrasando, prendere una donna oppressa, un gay sbeffeggiato, un fuggiasco dalle pallottole, una vittima dell'inquinamento, e strepitare ai quattro venti quanto la loro condizione ti commuova e quanto sia colpa della destra. Dare del fascista a chi dubita della tua buona fede (soprattutto dopo aver constatato quanta pubblicità personale tu ti stia facendo nello sventolio della tue insegne di purezza). Mettersi dalla parte della ragione senza contraddittorio. Acquisire il potere di stabilire chi può parlare sempre e chi mai, e poi compilare il calendario con amici e parenti. Essere, per questo profumatamente pagati con uno stipendio a cinque zeri, in modo da sistemare anche la discendenza.

Intellettuali organici che parlano in cinque, sei, nove, anche undici incontri in tre giorni. Abbastanza faticoso, a ben dire. Ma vuoi mettere i vantaggi. Parlerai dei tuoi libri, di quelli dei tuoi amici (i quali poi parleranno benissimo di quelli di tua moglie), e avrai sempre nuovi amici che ti renderanno il favore (finché sei in sella, poi ciao).

Certo, ti toccherà indignarti a favore delle donne che vogliono giocare a pallone con i maschi; equiparare una Resistenza con un'altra a ottant'anni di distanza e al di fuori di ogni analogo contesto storico; lacrimare per l'albero segato; intenerirsi per la presenza dei trans su TikTok; tendere, ma solo metaforicamente, e quindi a costo zero, la mano al povero Cristo del Terzo mondo. Poi, mentre ci sei, parlare del tuo ultimo libro, esaltarlo, esaltare te stesso, tromboneggiare, paragonarti, chessò, a Ennio Flaiano, metterti sullo stesso piano di Giovanni Papini, di Anna Maria Ortese, di Mario Rigoni Stern. Tanto sono tutti morti, mica possono uscire dalla tomba e venirti a prendere a calci nel sedere.

Che Veronica Raimo (oops, ci è sfuggito un nome), il cui fratello, stretto collaboratore dell'attuale direttorino, tre anni fa ha fatto cacciare dal Salone una casa editrice perché non gli piacevano i suoi libri; che costei, dunque, visto che vuol vincere il Premio Strega, debba godere di un'esposizione di gran lunga superiore a qualunque altro concorrente; che la moglie del direttorino strapagato possa intervenire a far pubblicità a se stessa nelle fasce orarie più appetibili. Che la candidata alla prossima direzione (e al prossimo stipendio) possa intervenire ovunque, è accettato come cosa naturale.

Tutto in nome dei deboli e degli emarginati.

Nel nome della famiglia, purché sia la propria.

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