Cultura e Spettacoli

"Solo incantesimi e simboli svelano la realtà più vera"

Lo scrittore romeno Mircea Cartarescu parla della raccolta di racconti "Melancolia": "Sono storie di bambini e di solitudine"

"Solo incantesimi e simboli svelano la realtà più vera"

Mircea Cartarescu ci ha abituato a opere infinite, come la trilogia Abbacinante (Voland) o il suo capolavoro Solenoide (ilSaggiatore). Melancolia, appena pubblicato da La nave di Teseo (pagg. 262, euro 20) è una raccolta di racconti piuttosto «breve» per i suoi standard: tre storie centrali, collegate fra loro, e racchiuse fra un prologo e un epilogo. Lo scrittore rumeno, più volte candidato al Nobel, ne parla collegato in video dal salotto di casa sua a Bucarest, la città dove è nato nel 1956 e che fa da sfondo/paesaggio/coprotagonista delle sue opere. Melancolia non fa eccezione.

Mircea Cartarescu, perché dei racconti?

«Melancolia è un ricordo di Nostalgia, una raccolta che avevo pubblicato trent'anni prima, durante gli ultimi mesi della dittatura rumena, e che era composta da cinque storie, fra cui un prologo e un epilogo. L'idea era di scrivere un libro simile, per vedere la differenza».

Che differenza c'è?

«Che ho imparato molto, in questi trent'anni. Un po' come in quel racconto di Borges in cui lo scrittore va in un parco, nota un giovane su una panchina, gli chiede come si chiami e lui risponde: Borges. Il Borges vecchio incontra il Borges giovane e, durante la loro conversazione, molto toccante, il più anziano capisce di conoscere molte più cose di prima».

E lei?

«Da giovane ero ambizioso e audace ma, parlando di letteratura, credo che questo sia il mio libro scritto meglio».

Anche qui ricorre al «metodo metafisico»?

«Sì, sono molto influenzato dai dipinti di De Chirico: la realtà non è reale nei miei libri, proprio come in Enigma dell'ora di De Chirico. Però, a differenza di Solenoide o di Abbacinante, che sono libri esplosivi, direi che Melancolia è implosivo: un libro calmo, che riguarda solo la vita interiore, quelli che definisco degli psico-drammi, ovvero le tre storie nel mezzo, che hanno per protagonisti bambini e adolescenti e i loro traumi».

C'è un'atmosfera di incantesimo in tutte le storie.

«Sì. È la sensazione di quando sei ipnotizzato, o di quando ti trovi in quello stato incerto fra il risveglio e il sonno, uno stato ipnagogico, in cui hai le allucinazioni, e ciò che si muove di fronte alle tue palpebre non è reale ma è affascinante, e ti incanta. Spiego questo incantesimo con una similitudine fra le mie storie e le fiabe, dalle quali ho preso in prestito alcuni elementi, come i sogni a occhi aperti e l'uso dei simboli».

I simboli sono moltissimi, dalla luna alle statue, dagli insetti ai bozzoli. Che cosa può dirci di questi simboli?

«Questo libro segue anche un altro percorso. L'ho scritto dopo la morte di mio padre, un evento che mi ha sconvolto, in seguito al quale ho cercato di capire la mia relazione con i miei genitori, che è il tema più importante del libro. I miei genitori, qui, appaiono come due statue giganti, o due divinità: perché, in effetti, i genitori sono i modelli per tutte le divinità, secondo me».

Come sono?

«Mia madre è una statua gigantesca di cioccolato, alta venti metri, non so perché; e mio padre una statua di gomma. Dopo averlo scritto, come in trance, ero stupefatto e mi sono chiesto il perché di queste immagini, che credo dicano di qualcosa di molto profondo in me: l'amore incredibile nei confronti di mia madre, e una sorta di sospetto e di tensione nei confronti di mio padre, con il quale non ebbi mai alcun conflitto, eppure l'idea della gomma è spaventosa per me, è qualcosa senza colore, freddo...».

Che ruolo hanno le statue?

«Queste due divinità sono presenti in tutti i miei libri. Qui connettono le tre storie: tutto è uno spettacolo teatrale, un sogno in cui ciascuno ha la sua mente, la sua intelligenza, le sue reazioni e i suoi movimenti ma, in realtà, è sognato dal nostro cervello».

L'Io-prigione dell'epilogo?

«Alcuni critici hanno notato un lato gnostico nella mia scrittura. Se pensiamo che la mente è chiusa nel cervello, che a sua volta è nel teschio, che è nel corpo, che è nella realtà e nella materia... abbiamo un'immagine di solitudine assoluta: ciascuno è assolutamente solo, circondato da mura concentriche, come nell'immagine finale».

Una forma di solipsismo?

«Sì, anche se di un genere strano, perché io credo nella solidarietà fra le persone, nel prendersi cura degli altri, nell'empatia e nell'amore... Chi non crede nell'amore, del resto? È il nostro motore...».

Ma?

«Ma qui la solitudine è assolutamente terribile. Tutti i personaggi ne soffrono: infatti ha un suo simbolo, una statua della Solitudine, che si chiama così, Singuratate, che qui è il nome di un vecchio poeta».

E la libertà che fine fa?

«Questo libro sospende la relazione fra mondo interiore ed esteriore: qui la libertà non esiste. Come nei sogni. L'unica libertà è di seguire il nostro stesso destino. I personaggi camminano lungo le strade attraversate dal tram, e possono andare solo dove la loro vita interiore li spinge. Alla fine di Le pelli, il protagonista e la statua di Singuratate camminano insieme, e nessuno sa dove vadano».

Ci sono altri elementi autobiografici?

«I ponti parte da un mio ricordo d'infanzia: quando avevo cinque anni ci trasferimmo in un appartamento in un edificio in costruzione, per cui il nostro balcone era ancora senza balaustra. Era pericoloso... Io immaginavo che, quando andava a fare la spesa, mia madre non sarebbe più tornata e io sarei rimasto lì da solo, per sempre recluso in quell'appartamento».

E poi?

«In quella solitudine, l'unica connessione con il mondo fuori sono i ponti che la mente del bambino crea sulla città: modi per evadere dalla realtà, in cui capisce quanto gli manchino i suoi genitori. Le volpi è una storia sulla relazione tra un fratello e la sorella più piccola. Mia sorella è cinque anni più giovane di me e per la prima volta scrivo della nostra relazione. Quello delle volpi era un gioco che facevamo davvero: eravamo dei coniglietti e io dovevo proteggerla dalle volpi che cercavano di attaccarci...».

Non c'è solo la relazione fra realtà e irrealtà: ciò che è surreale, a volte, sembra più reale della realtà.

«È così. La realtà è una costruzione della nostra mente, non è qualcosa di dato, è un sogno come tutti gli altri. Ma credo che, quando si scrivono storie fantastiche, sia necessario essere molto realistici: bisogna costruire personaggi, paesaggi e trame credibili, altrimenti non c'è connessione col mondo. Per questo cerco di essere sempre molto realistico e di descrivere tutto accuratamente, anche in termini scientifici: la letteratura fantastica deve farsi strada mostrando che la realtà può essere anche così, più interessante e gratificante rispetto a quella, noiosa, della quotidianità».

Ha vissuto sotto la censura di Ceausescu. Oggi c'è ancora censura?

«Certo. La censura non è solo una caratteristica delle società totalitaristiche ma anche dell'economia, della religione e di tutte quelle ideologie che sopprimono le opere che non ritengono accettabili, o che censurano chi non la pensa come loro. Ci imbattiamo nella censura in ogni momento. Un artista deve essere libero di esprimersi, e lo dico perché so che cosa sia la censura, nel suo significato più duro. Per 34 anni ho vissuto sotto la dittatura comunista».

Com'era?

«Quattro miei libri sono stati pubblicati sotto il regime, e ciascuno di essi è stato mutilato, fra cui Nostalgia: una delle storie fu completamente eliminata, e perfino il titolo non fu accettato, perché Nostalghia era il titolo del film che Tarkovskij aveva girato quando era fuggito dall'Urss e, quindi, era proibito... Del resto, tutto era censurato, anche i libri di cucina, anche l'elenco del telefono».

Stupefacente.

«Sì. Una sorta di socialismo surreale. Era come vivere su un altro pianeta. Oggi è diverso, ma la censura si sente benissimo. Non c'è parola senza censura, anche interiore: abbiamo paura di dire ciò che pensiamo. Le persone aspettano solo che tu faccia un errore per giudicarti e punirti sui social.

Io cerco di essere vero e credo che ogni scrittore debba resistere alla pressione del pubblico e di qualsiasi ideologia».

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