Cultura e Spettacoli

La sovranità degli Stati? È destinata a tramontare

I centri di potere sono sempre più sovranazionali. Già Borgese sognava una costituzione mondiale

La sovranità degli Stati? È destinata a tramontare

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo l’introduzione di Sabino Cassese al volme di Giuseppe Antonio Borgese, Fondamenti della repubblica mondiale (trad. Lorenzo Matteoli e Andrea Terranova, La nave di Teseo, pagg. 624, euro 24). L’opera, inedita, immagina una costituzione mondiale che superi le costituzioni nazionali.

Ingegno multiforme, uomo inquieto, entusiasta e trascinatore, pellegrino appassionato (è il titolo di una sua raccolta di novelle), nutrito di cultura classica, ma insieme tentato dall'impegno politico, Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) è stato «critico letterario, scopritore di talenti, giornalista, direttore di riviste e collane, delegato in missioni diplomatiche durante il primo conflitto mondiale, narratore, drammaturgo, poeta, docente di germanistica e di estetica, politico ed esule antifascista, legato a rilevanti personaggi del suo tempo, da Benito Mussolini a Gaetano Salvemini, da Benedetto Croce a Thomas Mann, da Giovanni Papini ad Arturo Toscanini: dopo un folgorante inizio di carriera in Italia e una grande visibilità a livello internazionale, tanto che nel 1952 il suo nome fu proposto per il premio Nobel per la pace», subì una lunga eclissi. Rifugiato negli Stati Uniti, divenuto cittadino americano, collaborò, nel 1940, a un documento intitolato La città dell'uomo. Una dichiarazione sulla democrazia mondiale, sottolineando la responsabilità globale degli Stati Uniti d'America nel creare un ordine mondiale pacifico.

Nel 1943 scrisse Common Cause, un titolo che dette luogo a una rivista con lo stesso nome e come sottotitolo «A Journal of One World», che uscirà fino al 1951. Il 6 agosto del 1945, il giorno dello scoppio della bomba atomica a Hiroshima, prese contatto con il cancelliere dell'Università di Chicago Robert Maynard Hutchins per costituire un comitato composto di undici membri che scriverà, in un anno e mezzo, un Disegno preliminare per una Costituzione mondiale, la cui prefazione fu redatta da Thomas Mann. La Regenstein Library dell'Università di Chicago conserva su microfilm quattromilacinquecento pagine di documenti intitolati World Federalist Papers, prodotti dal comitato.

La proposta fu solo una delle cinquanta che, a cavallo della seconda guerra mondiale, vennero redatte per la Costituzione mondiale, alcune contenenti progetti «massimi» e altri progetti «minimi». Gli autori, tuttavia, furono presto disillusi dalla cortina di ferro e dalla guerra di Corea che produsse, come osservò lo stesso Borgese, due mondi. Questo libro non si comprende se non si esamina il Disegno preliminare per una Costituzione mondiale, pubblicato in appendice, di cui il libro stesso illustra le idee fondanti. Bisogna partire dal preambolo del Disegno, che contiene le idee portanti sviluppate nel libro: «I popoli della terra, trovandosi d'accordo nel riconoscere che il progresso dell'uomo in eccellenza spirituale e il benessere materiale è la meta comune del genere umano; che la pace universale è il presupposto indispensabile per procedere verso tale meta; che la giustizia a sua volta è il presupposto della pace, e che pace e giustizia si reggono o cadono insieme; che iniquità e guerra inseparabilmente sorgono dall'anarchia delle rivalità tra gli stati nazionali; che perciò l'era delle nazioni deve finire, e l'evo dell'umanità cominciare; i governi delle nazioni hanno deciso di coordinare le loro distinte sovranità in un solo governo di giustizia al quale consegnano le loro armi; di stabilire, come stabiliscono, la presente costituzione da valere come patto in legge fondamentale della Repubblica federale del mondo».

La federazione mondiale proposta doveva avere un potere tributario, il governo delle forze armate, regolare trasporti, comunicazioni, emigrazione, immigrazione, disporre di una banca mondiale (la Banca mondiale era già stata istituita nel 1944). La proposta di costituzione prevedeva un'assemblea federale, eletta da nove collegi elettorali, che si doveva riunire per un mese ogni tre anni ed eleggere novantanove membri di un consiglio, di cui dovevano far parte diciotto esperti. Il consiglio doveva eleggere un presidente, che doveva nominare un cancelliere, che nominava a sua volta un gabinetto. Si dovevano affiancare una camera delle nazionalità e degli stati e un senato sindacale. L'assemblea federale doveva avere un delegato ogni milione di abitanti: in quel momento, l'assemblea avrebbe dovuto avere 2250 membri. Fondamenti della Repubblica mondiale, scritto negli anni quaranta, ma maturato negli anni trenta e poi pubblicato postumo, un anno dopo la morte dell'autore, nel 1953, contiene l'inizio (doveva, infatti, esser seguito da due altri tomi) di una spiegazione delle basi concettuali del Disegno redatto a Chicago e accolto molto favorevolmente da persone come Piero Calamandrei in Italia e Jacques Maritain in Francia.

La struttura del libro segue l'ordine del preambolo del Disegno della costituzione. Il filo rosso è fornito dall'osservazione che l'era delle nazioni è finita, non perché queste non siano più vive, ma perché hanno cessato di essere «supreme», nel senso di avere l'ultima parola. Quindi, il governo mondiale comporta la dissoluzione delle nazioni come decisori di ultima istanza. Borgese osserva che già nel nazionalismo vi erano elementi sovranazionali. Contesta che il movimento per l'unità del mondo derivi solo dal timore della diffusione di armi di distruzione di massa. Contesta anche gli argomenti contrari all'unità del mondo, in primo luogo, l'idea che non vi sia una comunità mondiale, perché la comunità si costruisce: ogni volta che c'è governo c'è una comunità. Borgese poi esamina il problema del governo mondiale come pacificatore universale perpetuo e fa osservazioni molto acute sulle diverse concezioni della guerra e della pace: il cambiamento dei significati di guerra, da istituzione sacra a crimine; la guerra come forma di antagonismo per assicurarsi la gloria; la guerra come volontà di autodistruzione; la pace e la guerra come due alternative mutualmente integrantisi; la pace per soddisfare una concezione edonistica della vita, per evitare distruzioni, evitare dolori. Osserva che la pace è qualcosa di più di un'assicurazione della sopravvivenza. Riprende le osservazioni di Malinowski sulla guerra moderna, che rende difficile distinguere militari da civili e in cui non c'è una singola battaglia, non ci sono vincitori e vinti, ma vincitori e vittime. Discute il tema del pacifismo e quello del governo mondiale come artefice e custode della pace mondiale, valutando la tesi della guerra e del valore creativo del conflitto. Considera le guerre civili, come quella sperimentata dagli Stati Uniti nella seconda parte dell'Ottocento. Contesta l'idea che con un solo governo vi sia troppo governo, perché non c'è la possibilità di fuggire in un altro stato, osservando che la protezione della Repubblica mondiale è superiore a quella offerta dalle nazioni in competizione tra di loro. Minore interesse ha la seconda parte, quella dedicata alla giustizia, che non sarebbe stata definibile finché non si è identificata con la carità. Anche in questa parte vi sono, però, osservazioni interessanti, come quella sul pericolo insito nello stato del benessere, che può produrre un'umanità di mendicanti e di parassiti da un lato e di demagoghi dall'altro.

L'ultima parte è dedicata al potere e alle sue forme. La Repubblica mondiale dovrebbe assicurare l'avanzamento etico attraverso l'istruzione, la sconfitta del nazionalismo e lo sviluppo di tecnologie distribuite in modo capillare. Ma la precondizione di una Repubblica mondiale doveva essere la fine delle tensioni tra i due nemici-fratelli, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Borgese sostiene la necessità di essere dogmatici nei fini e storicisti nell'uso dei mezzi e che i pilastri di una Repubblica mondiale sono la democrazia, la subordinazione della politica all'etica, la giustizia intesa come carità, l'eguaglianza, il governo rappresentativo con checks and balances, un grande prestigio del capo e la pace. La parola «globalizzazione» è stata adoperata per la prima volta nel 1930 ed è stata diffusamente utilizzata a partire dal 1960, ma la realtà della globalizzazione si è sviluppata in modo particolare negli ultimi trent'anni. Ora che la globalizzazione sembra in crisi e si parla di de-globalizzazione e di ri-globalizzazione, si può dire che Borgese aveva visto giusto. Aveva capito che il mondo continua a essere composto di nazioni, anche se queste non hanno l'ultima parola, debbono dar conto a una comunità superiore, mondiale. Non, quindi, un governo mondiale, ma reti di opinioni pubbliche, quindi di comunità locali, e di governi settoriali globali, che si sviluppano lentamente per ridurre la supremazia delle nazioni.

Siamo lontani dalla Repubblica mondiale, ma non siamo certamente più nell'era della sovranità degli stati.

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