Calcio

Addio a Joe Barone. La maledizione viola non conosce fine

Nella storia della Fiorentina tanti lutti, l'ultimo prima del dg quello di Astori sei anni fa in albergo a Udine

Addio a Joe Barone. La maledizione viola non conosce fine

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Nel mondo dello spettacolo il viola è un colore che non piace. Nel mondo del nostro calcio il bel viola della Fiorentina sta diventando un colore di atroci ricordi. Se n'è andato Joe Barone. Joe nel suo giorno: il giorno di San Giuseppe. E un giorno prima di compiere 58 anni. Cuore maledetto, avranno pensato in tanti. Storie che pesano sul cuore, verrà raccontato ancora una volta. La Fiorentina, purtroppo, ci ha abituato. Sembra di tornare a sei anni fa, inizio di marzo, quando Davide Astori venne schiantato da una grave patologia cardiaca (mai diagnosticata) in un albergo di Udine in attesa della partita di campionato. Astori doveva giocare. Barone attendeva l'ora della partita in un albergo di Bergamo: lui giocava match diversi, gli toccavano gli affari di mercato. Ma giocava per la Fiorentina. È morto a Milano, all'ospedale San Raffaele dov'era ricoverato da domenica per un infarto. Non è bastata una operazione. Era arrivato a Firenze nel 2019. Il cuore italiano diceva Pozzallo, vicino a Ragusa, dov'è nato e dove si svolgeranno i funerali. Non a caso tutta la famiglia ha nomi nostri: Camilla la moglie, Giuseppe, Gabriella, Pietro e Salvatore i figli.

La domanda senza risposta è ovvia. Possibile che Firenze debba, ancora una volta, snocciolare il rosario di nomi finiti male, traditi dal cuore o da chissà quale altra maledizione racchiusa nella storia e nascosta dagli uomini? Oggi il tifo viola ricorda Astori con un murales, Capitano per sempre, in nome di lacrime versate da tutti: da Pioli che ne era allenatore, a Biraghi che, insieme ad altri compagni, ha rivissuto in questi giorni il dramma al capezzale di Joe Barone.

Ma poi c'è la storia, una Spoon River sul fiume Arno. Nomi che accusano senza mai aver avuto soddisfazione di sapere il perché? Perché mai sono morti così Bruno Beatrice e Massimo Mattolini, Giovanni Bertini e Ugo Ferrante, Nello Saltutti e Pino Longoni, Giancarlo Galdiolo e Adriano Lombardi. Qualcuno stroncato dal cuore, qualche altro preda della Sla. Quelle tragiche storie della Viola anni Settanta: così si semplifica per raccogliere in un pugno di parole i pugni allo stomaco che portano con sé. Negli anni ottanta-novanta passò da Firenze anche Stefano Borgognovo. Giancarlo Antognoni se la cavò con un infarto che gli ha stretto il cuore, ma non ucciso. Giancarlo De Sisti rischiò la morte per un ascesso frontale al cervello.

Non tutto va condensato in un susseguirsi di dubbi che le famiglie di alcuni giocatori hanno portato davanti ai giudici. C'è pure la fatalità. Però, certo, Beatrice e la sua vita da mediano si chiusero a 39 anni sputando sangue per una grave forma di leucemia. Mattolini, portiere simbolo, fece una guerra con i suoi reni che lo mollarono il 12 ottobre 2009. Nello Saltutti chiuse la storia con un infarto nel 2003 a 56 anni, Ugo Ferrante a 59 anni nel 2004. E tutti accompagnati da ricordi che parlavano di Cortex, Micoren, e altri farmaci assunti come bersi un caffè. O di accelerazioni cardiache nelle notti dopo le prestazioni agonistiche.

La storia è perfida. Talvolta, come in questo caso, si accanisce e ci dice che il viola è un colore che infrange cuori in tutti i sensi. Ogni volta la lista si allunga, il de profundis si fa più feroce, vien male pensare che una maledizione si annidi dietro ad un revival che ricorda gli uomini ma non riesce a spiegare il senso delle loro morti. La tragedia di Davide Astori, che lasciò una bimba di due anni e un gruppo di compagni che ancora oggi lo sente vicino, portò alla condanna per omicidio colposo di Giorgio Galanti, ex responsabile sanitario della Fiorentina.

Una condanna ed un cimitero di tombe: destino impietoso.

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