Sport

Anche il rugby chiude alle transgender

La federazione nega alle atlete "diversity" di giocare con le donne

Anche il rugby chiude alle transgender

Scegliere se rispettare tutte le persone o subire pressioni da una minoranza non dev'essere facile, ed è il dilemma che si è posto la Rfa, Rugby Football Union inglese, nel votare l'altro giorno 33-26, con due astensioni, contro l'ammissione di atlete transessuali nel rugby femminile con pieno contatto fisico. Un voto che ha generato proteste, anche se un manipolo di manifestanti con cartelli, al di fuori del celebre stadio londinese di Twickenham, fa più colore che opinione. Il problema però c'è, ed era già stato affrontato nel 2020 dalla World Rugby, la federazione internazionale: «donne transessuali che abbiano compiuto il percorso (da maschi a femmine, ndr) dopo la pubertà e abbiano mostrato gli effetti biologici del testosterone durante la pubertà e l'adolescenza non possono giocare a rugby femminile». Il documento, con lista di 49 testi scientifici di supporto, aggiungeva la promessa di una riformulazione delle regole su base triennale, ma fino a pochi giorni fa in Inghilterra si era valutata la situazione caso per caso, considerando che sono solo sette le giocatrici tesserate, e solo due giocano, o meglio giocavano, regolarmente. La votazione è stata decisa dopo un periodo di consultazione durante il quale sono stati valutati oltre 11.000 pareri diversi, tra tesserati e addetti ai lavori, e il divario ristretto a favore del no non aiuta certo a placare le polemiche sulla mancanza di «diversity». Parolina salita alla ribalta nelle università americane, dove la militanza è forte al punto che Penn, celebre ateneo di Philadelphia, ha provocatoriamente indicato Lia Thomas, la nuotatrice transessuale vincitrice dei 500 stile libero ai campionati universitari del 2022, come Atleta donna dell'Anno. La presenza della Thomas, la cui imponente struttura fisica evidenzia in maniera vistosa il passato recente (la transizione risale all'ultimo periodo del liceo, 2019), ha causato, come noto, forti reazioni contrarie, compresa quella di atlete in imbarazzo al dover condividere gli spogliatoi con la Thomas, che secondo un'anonima rivale «ha ancora parti del corpo maschili».

Proprio nel nuoto, un mese fa, la Federazione internazionale aveva proibito le competizioni femminili alle atlete transessuali, con motivazioni pressoché identiche a quella della World Rugby, per non parlare della vicenda di Castor Semenya, la mezzofondista sudafricana campionessa olimpica, nata con un deficit di steroido 5-alfa-reduttasi 2 ed esclusa dal 2019 da 400, 800 e 1500 se non avesse assunto medicinali per ridurre il suo livello di testosterone.

Commenti