Calcio

Un calcio in bancarotta. La sentenza non stende solamente la Signora

I dubbi sulle plusvalenze e la slealtà sportiva. Meglio salvare il pallone e punire tanti colpevoli

Un calcio in bancarotta. La sentenza non stende solamente la Signora

A chi giova? Al nostro calcio: non proprio. Agli avversari della Juve? Nemmeno. Ai furbastri che gestiscono gli affari europei e mondiali del pallone? Probabile. Ci sono momenti nei quali tanti, forse tutti, dovrebbero sentirsi fortemente socratici. Ovvero: «Io so di non sapere». A maggior ragione se si parla di pasticci (porcherie?) calcistici. Restiamo in Italia, senza volare altrove. La condanna che ha colpito la Juve, però, non atterra solo club, dirigenti, giocatori. Colpisce la credibilità del nostro movimento, non per i peccati della Juve ma per quelli concessi agli altri e non sanzionati. Non fa giustizia chiara una decisione, appesantita rispetto alle richieste dell'accusa, se soltanto le motivazioni potranno, forse, svelare i misteri. I giudici della Corte d'appello sono a prova di credibilità certa: lo ha chiarito l'avvocato Grassani, una autorità in materia. Ma credibilità non sempre significa qualità della sentenza. Quella contro la Juve pone più dubbi, incertezze, retro pensieri rispetto ad un credo accettabile da tutti: lasciando perdere tifo pro e contro. I tifosi non sono poveri fessi che abbaiano alla luna. Ecco alcuni dubbi: la Juve è punita per slealtà sportiva, ma perché non penalizzare i soci nelle azioni incriminate? Si dice: esiste la prova di bilanci artefatti, non dei soci con i quali ha operato. Qui si parla di scritti: sono garantiti dalle ammissioni? Si dice: non esiste regolamentazione sulle plusvalenze. Dunque non si può colpire per una legge fantasma. Nel caso-Juve si parla di sistema o modus operandi: benissimo, ma non si fa sistema in solitudine. In passato altre società trovarono un modus operandi sulle plusvalenze, e se la cavarono. La gente si chiede: se i bilanci per plusvalenze sono artefatti, lo sono per tutti? O solo per la Juve? La legge non è uguale per tutti?

A chi giova la sentenza? Direte: al calcio italiano. Va ribaltato il punto di vista. Si punisce la Juve per punire tutti? Errato: vanno puniti tutti per salvare il calcio. Questo doveva essere lo scopo. E così ci perde prima il calcio. Quanti sono i club che, con bilanci non proprio chiari, sarebbero in bancarotta: come capiterebbe in altri settori industriali? Diversi. Andrea Agnelli sarà arrogante, ma ha ragione se dice che il calcio non è più sport: è industria e business. E perché non punire chi doveva operare i controlli (Figc) e si è distratto? Questo movimento ha tenuto nei ranghi un ex capo procuratore arbitrale, arrestato per narcotraffico internazionale: non va dimenticato. La decantata (dalla federazione) NextGen non è altro che una fabbrica di idee per gestire plusvalenze prima ancora di talento e futuro. Infine perché non pensare che condannare la Juve sia una ideale strizzata d'occhio a Uefa e Fifa che, in qualche modo, non erano in sintonia di intenti ed ora potranno punirla?

I giudici hanno emesso sentenza su evidenze forse affiorate dall'inchiesta Prisma, che porterà ad altri processi. Però fa specie che il calcio nostro passi da uno scontificio di pene ad una inflessibile ghigliottina a responsabilità limitata. Chissà se il collegio di garanzia del Coni avrà le stesse percezioni di legittimità negative recapitate per il caso Juve-Napoli 2020. Allora rigettò la sentenza avversa al Napoli.

Stavolta tutto è più complicato.

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