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La leggenda Schumi nata con una bugia e quel giro in bicicletta

La Jordan lo voleva per un Gp, Michael giurò di conoscere la pista. Mai vista. E poi sui pedali...

La leggenda Schumi nata con una bugia e quel giro in bicicletta

Cominciò tutto con una bugia. Quando Eddie Jordan chiese a Willi Weber se il suo giovane assistito con il cognome da portiere tedesco, Schumacher, conoscesse la pista di Spa, la risposta fu categorica: «Come le sue tasche». Eddie non fece caso che quel ragazzino dalla faccia pulita quel giorno indossasse un paio di pantaloni senza tasche. Si fidò e basta e poi i 400mila marchi che gli garantiva lo sponsor Tic Tac procuratogli dalla Mercedes, avrebbero aperto ogni porta. Così affidò a Michael la monoposto che fino al Gp precedente era stata di Gachot, finito in cella a Londra per aver litigato con un taxista.

Il 22enne Schumacher (foto), uno dei piloti dello junior team Mercedes nel Mondiale Prototipi, in realtà a Spa non aveva mai corso in vita sua anche se la pista era davvero vicina a Kerpen dove era nato e cresciuto. L'occasione però era troppo grande per voltarsi dall'altra parte. Meglio raccontare una bugia e poi darsi da fare con una bicicletta il giovedì prima di scendere in pista. Pedalata dopo pedalata imparò a memoria il tracciato più lungo e cattivo del mondiale. Sette chilometri di sali scendi e di curve da brivido. La Jordan non aveva neppure una tuta per lui. Mise del nastro adesivo per coprire il nome di De Cesaris sulla tuta di riserva del suo compagno di squadra. Sulla Jordan numero 32 prese posto un casco che avremmo cominciato a conoscere e ad amare. Il sabato il mondo rimase a bocca aperta: settimo tempo, sette decimi meglio del suo compagno che proprio uno fermo non era Quello Schumacher aveva della stoffa.

Nella camera dell'albergaccio che divideva con il suo manager Willi Weber, quello che da lì a poco sarebbe diventato famoso come mister 20%, Schumi cominciò a sudare come una fontana. Si era preso una mezza influenza (ovviamente nascosta al team) a furia di cambiare clima tra il Giappone dove era, l'Inghilterra dove andò a incontrare Jordan e il Belgio. Ma non fu un problema. La domenica era pronto per la prima gara della sua carriera in Formula 1. Era il 25 agosto 1991. Esattamente 30 anni fa. Durò 500 metri. Poi la frizione della sua Jordan lo tradì. Ma quello che aveva fatto vedere in qualifica gli bastò per non uscire più dalla Formula 1. Jordan però, in uno dei rari errori della sua carriera, non gli aveva fatto firmare un impegno per il futuro. Su quel ragazzo dalla faccia sincera, ma dal manager già così ingombrante, si gettò come un falco su un agnellino, Flavio Briatore. Non che lui ne sapesse molto di quel ragazzino, ma Ross Brawn e Tom Walkinshaw, le sue anime tecniche in Benetton che lo avevano visto all'opera da vicino nel mondiale prototipi, lo convinsero ad andare all'attacco. E Briatore quando sente il profumo di un affare diventa implacabile. Lo scippo fu consumato nelle lussuose stanze del Grand Hotel Villa d'Este a Cernobbio alla vigilia della gara successiva, il Gp d'Italia.

La leggenda di Schumacher stava per cominciare.

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