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Navratilova, l'icona gay contro i trans

L'ex numero 1 del mondo: "Il tennis femminile non è uno sport per maschi falliti"

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Nel 2019 Martina Navratilova disse la stessa cosa: «Un trans che gareggia nel circuito femminile? Una truffa». Aldilà delle parole forti, i titoli dei giornali sottolinearono il suo «scivolone», così, senza pensarci. E allora: ci si può invece pensare un attimo?

Per esempio, adesso ci risiamo. La tennista icona del movimento Lgbtq+ si espone con una frase che sembra più una martellata: «Il tennis femminile non è uno sport per maschi falliti». D'altronde lei è sempre stata così, dirompente, fin da quando fece coming out rivelando la sua omosessualità in un mondo che non era ancora pronto alla tolleranza. Eppure diventò un'atleta icona anche per gli eterosessuali, forse perché il politically correct non è mai stato poi così necessario. Mentre una lesbica che attacca i trans, oggi è il cane che si morde la coda.

Il tema è molto delicato, diciamolo: da una parte la sensibilità nei confronti di chi nasce uomo in un corpo che non è suo, e che chiede giusti diritti per continuare a vivere normalmente. Dall'altra la logica, per cui secondo Martina (e non solo) «è sicuramente ingiusto per le donne competere contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini. Sono felice di rivolgermi a una donna transgender in qualsiasi forma preferisca, ma non sarei felice di gareggiare contro di lei».

Per il tennis non è la prima volta che l'argomento diventa di attualità: la stessa Martina (oggi sposata con l'ex Miss Russia Julia Lemigova), fu perfino allenata da Renée Richards, la prima donna ex uomo ammessa ali UsOpen (e arrivata ai quarti) grazie a una sentenza della Corte Suprema. E nel circuito ha giocato anche un'ermafrodita, Sarah Gronert, nata con entrambi i sessi ma per certificato, ed anche dopo attenti esami medici, considerata femmina. Arrivò al numero 164 del mondo e alcune sue colleghe, quando vinse la prima partita da professionista, si complimentarono con lei per «i suoi primi punti Atp», che è il circuito maschile. A proposito di ferocia.

Adesso il problema è Alicia Rowley, nata uomo e vincitrice di alcuni tornei femminili over 55 organizzati dalla federazione americana, a cui per partecipare è bastato chiedere il cambio di genere sul documento. E non è una questione di pro o contro, né di essere di destra o di sinistra: è semplicemente un problema da risolvere. Il tennis al riguardo ha delle regole aggiornate al 2018, nelle quali si legge di livelli di testosterone da controllare e di dichiarazioni di genere che valgono almeno 4 anni. E se il gran capo degli Australian Open Craig Tilley ora si dice favorevole all'apertura agli atleti transgender, le parole della Navratilova già cancellata per «trasnfobia» da Athlete Ally, l'associazione in sostegno di atleti omosessuali diventano un nuovo detonatore: «È patriarcato per gli uomini biologici insistere sul diritto di entrare negli spazi creati per le donne. Quanto è difficile da capire?». Forse è davvero difficile, soprattutto quando la verità sta nel mezzo e nessuno se ne occupa davvero.

Senza litigare.

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