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Semenya, le sue ragioni e quelle dello sport

Per la corte dei diritti dell'uomo Ue è discriminata. Ma le gare con lei sono falsate

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Non c'è Caster senza caso. Caster Semenya è destinata a rendersi indimenticabile: per i casi che ha creato prima ancora che per le medaglie vinte. Oppure le une sono conseguenza degli altri. Stavolta la 32enne campionessa sudafricana ha vinto una battaglia fuori pista, ma lo sport, inteso nel senso ampio, potrebbe non essere d'accordo. E non è detto che questo successo la porti ai Giochi di Parigi 2024. Dopo i due successi olimpici e i tre mondiali vinti negli 800 metri, Caster affetta da iperandroginia fu costretta ad abbandonare le gare nel 2019 a causa dei livelli troppo alti di testosterone: era necessario abbassarli, assumere farmaci per gareggiare in distanze dai 400m al miglio. La federazione internazionale in tal senso aveva adottato drastiche misure nei confronti di atlete DSD ovvero con differenze di sviluppo sessuale. Decisione validata dal Tas di Losanna e dalla Corte Suprema Federale Svizzera. Caster allora si è rivolta alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che, invece, con verdetto contrastato (4-3) ha definito «discriminatoria e irrispettosa dei diritti della privacy» l'esclusione dell'atleta dalle competizioni in ragione «delle differenze di sviluppo sessuale» di cui è portatrice. Stando alla Corte l'atleta ha diritto ad un risarcimento. E la discriminazione verso le atlete, come lei, va eliminata.

La replica della World Athetics, per bocca del presidente Sebastian Coe, è stata altrettanto decisa: «Il giudizio che protegge il diritto degli atleti è stato espresso contro lo Stato svizzero, non contro la federazione, quindi i nostri regolamenti restano in vigore». E qui è stridente il confronto tra giudici che interpretano leggi comuni e le leggi dello sport che non ammettono discriminanti. Il caso Semenya si è affacciato dal 2009, cioè da quando la ragazza ha iniziato a gareggiare e si trovò persino a dire, a chi non la giudicava perfettamente donna, «vi mostro la vagina così mi crederete...». La questione è delicata: la World Athletics sostiene, anche a fronte di certi risultati (i casi delle prime tre atlete degli 800 m. dei Giochi di Rio vinti dalla Semenya), che alti livelli di testosterone offrono un vantaggio ingiusto in alcune distanze. Gareggiare ad armi pari è la ragion di vita dello sport, soprattutto individuale. Non a caso, con altra angolazione, si parla di sport paralimpico e per normodotati: gareggiassero insieme, i paralimpici sarebbero fortemente svantaggiati. Ed è recente la decisione dell'atletica, ma prima ancora di nuoto e Rugby league, di escludere dalle gare femminili transgender che hanno attraversato la pubertà maschile. Diverso il caso di Nikki Hiltz, mezzofondista che si è detta non- binaria o gender fluid, e si è qualificata per i mondiali di Budapest dove rappresenterà gli Usa nei 1500 m. Quando si toccano questi problemi, si parla di tabù, di diritti, di rispetto delle persone, ma non bisogna dimenticare i diritti dello sport: la parità di condizioni.

I diritti umani sono inviolabili, però si può vivere anche senza gareggiare se la natura ha disposto diversamente.

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