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Sono gli orange del mondiale senza Robben

In Olanda vanno di moda le minestre riscaldate. Dopo Louis van Gaal, ecco Guus Hiddink, che apre stasera contro l'Italia il suo secondo mandato da ct. Infortunati a parte (Robben, Huntelaar), sono poche le novità rispetto alla selezione arrivata terza due mesi fa al Mondiale brasiliano. Meno istrionico e protagonista del suo predecessore, Hiddink deve anche cercare di sfatare il conto in sospeso che l'Olanda ha con l'Italia: le due nazionali si sono già affrontate 18 volte, con sette vittorie per gli azzurri, tre per gli olandesi e otto pareggi; gli azzurri inoltre non hanno mai perso giocando «in casa», ottenendo cinque vittorie su otto partite. Bilancio in parità nel suo personale tabellino contro gli azzurri: alla beffa sudcoreana del 2002 l'Italia ha risposto con il tuffo di Grosso nel 2006, e ciao ciao Australia. Acqua passata.

Oggi, si diceva, siamo alla minestra riscaldata. Ma la differenza continuano a farlo gli ingredienti, e Hiddink dispone di una vasta scelta. Freschi e, in alcuni casi, di prima qualità. Come Memphis Depay, la stellina già brillata in Brasile (2 reti, più giovane marcatore di sempre dell'Olanda in un Mondiale) e che ha passato l'estate a valutare offerte provenienti da ogni dove (Juventus inclusa), salvo poi prolungare con il Psv Eindhoven. Depay è un classe '94, come Domenico Berardi, uno dei talenti più promettenti del nostro calcio. Giocano nello stesso ruolo, attaccante esterno sinistro, e pur non essendo assimilabili come tipologia di calciatore, simboleggiano il gap che divide l'Italia da altri paesi europei. A 20 anni Depay ha già alle spalle una stagione e mezza da titolare, una dozzina di partite in Europa League e un Mondiale; Berardi invece è sempre al Sassuolo, e la nazionale la vede in televisione. Non è difficile ipotizzare quale dei due sarà più pronto un domani quando arriverà l'offerta del grande club di turno.

Tornando a Hiddink, per sedersi nuovamente sulla panchina degli oranje ha accettato di ridursi il compenso del 90%, passando dalla mostruosa cifra di 12 milioni annui percepiti

nell'Anzhi dell'oligarca Suleyman Kerimov (ex sodale di Putin oggi in disgrazia), agli 1.2 attuali. Cinque volte meno di quanto percepisce Antonio Conte (6.4), secondo ct più pagato del mondo dopo Fabio Capello (Russia, 8.45).

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