Economia

La svedese Ikea spinge il nostro Pil

Spende 1 miliardo all’anno in forniture di imprese tricolori e le rivende in tutto il mondo. Nei 307 negozi l'anno scorso sono entrate 590 milioni di persone. Il fatturato 2009 cresce dell’1,4%

La svedese Ikea spinge il nostro Pil

Il bilancio di Ikea è curiosamente parallelo alla crisi economica, perché comprende l’arco temporale che va dall’1 settembre 2008 al 31 agosto 2009. Almeno due sono i segnali inaspettati che vi emergono: primo, il fatturato mondiale delle vendite è cresciuto dell’1,4%, a quota 21,5 miliardi di euro; secondo, il contributo dell’Ikea all’economia manifatturiera italiana - con un concreto effetto anticrisi - è anch’esso cresciuto dello 0,4%, per una cifra che non viene ufficialmente comunicata ma che può essere stimata, all’incirca in un miliardo.

L’Italia infatti è il terzo Paese fornitore di Ikea, con l’8% degli acquisti totali, dopo Cina (20%) e Polonia (18%); se dalla Polonia si sottrae la quota di impianti di proprietà Ikea, gli acquisti in Italia salgono al secondo posto. I fornitori sono in gran parte piccole e medie aziende, con una forte concentrazione nel legno-arredamento e nel vetro; i più noti sono Bormioli (vetro), Natuzzi (divani), De Roma (terraglie); marchi multinazionali di elettrodomestici come Whirlpool ed Electrolux hanno una forte base industriale in Italia, a Varese e a Pordenone.

L’ufficio acquisti Ikea di Milano risponde direttamente al quartier generale svedese, e ordina prodotti che poi vengono distribuiti nei 301 negozi di 37 Paesi, visitati l’anno scorso da 590 milioni di persone. Insomma: la multinazionale di Helsingborg contribuisce al Pil e all’export italiani.

Degli 1,38 miliardi fatturati nei 15 negozi in Italia (più 3,9%, quinto Paese per vendite), la quota di prodotto italiano è stimabile invece intorno al 20%. Da osservare che entro la primavera prossima saranno aperti altri tre centri (Villesse in Friuli, Salerno e San Giuliano Milanese), con un investimento di 310 milioni e un beneficio occupazionale di 600-700 posti di lavoro. Dei risultati in Italia va osservata l’impennata delle vendite di cucine con un incremento del 10,9% (55mila il numero assoluto) che si confronta con un calo del mercato del 7,7%: il rapporto qualità-prezzo vince sulla concorrenza, che in questo settore si è sempre caratterizzata per i ricarichi molto elevati.

Quanto ai prezzi, è interessante uno studio statistico elaborato dalla stessa Ikea sui propri cataloghi. Fatto 100 l’indice dei prezzi del 2000, esso è sceso negli anni fino a portarsi all’81,5 del 2009 e all’80,7 (stimato) per il 2010; nello stesso periodo, l’indice Istat dei prezzi al consumo, sempre partendo da 100 nel 2000, oggi è a quota 124 e l’anno prossimo è previsto a 125,3. La forbice a favore del potere d’acquisto presso Ikea è di oltre 40 punti.

Il gruppo guadagna: ma la politica aziendale è avara di cifre, e impedisce la diffusione di qualunque dato reddituale. Tutto ciò è consentito dal fatto che Ikea, di proprietà di una fondazione, non è quotata in alcuna Borsa mondiale: cosa che permette al management di fare scelte di lungo periodo e non di breve (i piani sono decennali), senza puntare ansiosamente ai risultati trimestrali come molte altre multinazionali.

Gli obiettivi di ampio respiro permettono anche una politica basata sull’affidabilità sia nei confronti dei clienti che dei fornitori: in Italia molte aziende di produzione hanno contratti con Ikea da più di vent’anni.

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