Terrorismo

"Islam in Italia, fanno paura le mine vaganti"

Il magistrato che indagò anche su Brigate rosse e Olp: "Il Lodo Moro era un patto cinico ma efficace"

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Carlo Mastelloni, fino al 2020 procuratore capo a Trieste, per anni è stato giudice istruttore a Venezia, ha condotto inchieste sul terrorismo interno e internazionale, sui rapporti con il mondo arabo. È stato il primo a indagare sui legami esteri delle Brigate Rosse, ha incriminato i vertici dell'Olp per traffico clandestino di armi, da cui emerse poi il cosiddetto Lodo Moro sui palestinesi per arginare il rischio attentati.

Ci sono ancora gli effetti di quella pagina di storia?

«Aldo Moro fu l'artefice del famoso Lodo con Arafat, e con un maestro di dirottamenti e ricatti, Wadie Haddad (al vertice dell'Fplp, ndr). Era un accordo cinico ma efficace condiviso da Andreotti e dal partito arabo che imperava a quei tempi, con La Pira, Rognoni e tanti altri. Moro aveva paura quasi fisica di eventuali attentati e di perdere il consenso politico. Si affidava al colonnello Giovannone (capo del Sid in Libano, ndr). Prima che lo scarcerassi, l'ufficiale mi disse che lavorava anche su delega americana, in particolare per la Cia, dottore. Erano politici che avevano filo diretto».

Quanto il conflitto israelo-palestinese espone l'Europa al rischio terrorismo?

«Da una parte sussiste il rischio di una risposta cruenta da parte di chi ha vissuto male la sconfitta dell'Isis, parlo dei Fratelli musulmani, che sono sparsi dappertutto. Un ulteriore rischio deriva dalla chiamata alle armi implicita nella mattanza di Hamas, che sta usando i palestinesi tenendoli immobilizzati. Ho la percezione che l'Europa sia, in questa situazione, una sorta di terra di mezzo, priva di una consistenza politica e di efficaci interlocuzioni. Quanto alla lotta al terrorismo, viviamo con accordi bilaterali, manca una comune intelligence europea».

La guerra aumenta il pericolo di radicalizzazione?

«La radicalizzazione, che è un processo composto di fasi, diventa più celere per la continua spettacolarizzazione di Hamas. Di fronte al fanatismo religioso, la logica occidentale della diplomazia rischia di rimanere spiazzata. Sulle trattative sugli ostaggi, mi pare che Hamas nasconda sempre qualcosa di lercio. Le incursioni via terra di Israele a Gaza si limitano alle zone di confine, lontano da dove si presume - o si sa già? - si trovino gli ostaggi, parecchi dei quali Hamas dà, in strana concomitanza, per morti».

Cosa rischia l'Italia?

«Anche noi abbiamo la nostra quota di mine vaganti che, solidarizzando, possono costituire cellule ancora in fieri: siamo stati per anni nazione di prima accoglienza, abbiamo noi obiettivi sensibili credo ben segnalati dai nostri servizi di sicurezza alle forze di polizia affiancate dall'esercito».

Come contrastare la radicalizzazione nelle carceri?

«Il massiccio ingresso di detenuti stranieri, oltre a rallentare la rieducazione, può lasciare spazio alla coltivazione di riflessioni non ortodosse da parte di chi abbraccia la fede islamica. Serve un continuo aggiornamento del personale che lavora nel delicatissimo settore».

L'Italia non ha periferie come le banlieue francesi, ma esiste un tema di integrazione?

«Con la distruzione dello Stato islamico pareva sopita l'irresistibile voglia di distruggere l'infedele. Ma sono state sufficienti alcune contraddizioni interne allo Stato d'Israele, eterno nemico di Hamas e di Hezbollah e vittima della Storia, per far ritenere che fosse arrivata l'ora del sangue. Sulla scelta dei tempi del vile attacco prima o poi verrà fuori la verità.

Non credo alle ricorrenze. In questo contesto è chiaro che si possa espandere un magma fatto di aggressività sociale anche in Italia, con riflessi

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