Cronaca locale

Tutti fuori gli ultrà della domenica di guerriglia

Il giudice: «Ma negli scontri intenti eversivi»

«Non ho precedenti». Veramente dicono che lei è un leader skinhead, che a Bari ha aggredito un uomo solo perché aveva la pelle scura. «Tutto falso. E poi non parlo con i giornalisti».
Fa il duro, chiuso nella gabbia al pianterreno del tribunale, Riccardo Colato, uno degli ultrà dell’Inter arrestati dopo le violenze di domenica. Colato, a dispetto dei diciott’anni compiuti da poco, non sembra spaventato dalla situazione. Se ne sta in piedi, aggrappato alle sbarre, e lancia sorrisi e saluti agli amici - anche loro rasati, parecchi in mimetica - che si affacciano all’aula. D’altronde fa bene a non preoccuparsi: prima dell’ora di pranzo è libero, scarcerato dal giudice (grazie ad una distrazione del pm). Può raggiungere così gli altri sette ultrà del tifo arrestati a tempo di record dalla Digos e dal Nucleo informativo dei carabinieri. E scarcerati con rapidità ancora maggiore dalla magistratura.
Il bilancio del pomeriggio di scorribande vissuto da Milano dopo la morte ad Arezzo del tifoso laziale Gabriele Sandri è di quelli destinati a lasciare uno strascico un po’ amaro nei rapporti tra forze dell’ordine e magistratura. Perché domenica pomeriggio poliziotti e carabinieri avevano subito di tutto (l’assalto alla caserma di via Vincenzo Monti, le sassate e le bottigliate in piazza Duomo) senza reagire: una scelta compiuta per non aggiungere nuove violenze alla giornata segnata dalla morte di Sandri e nella consapevolezza che i responsabili sarebbero stati identificati e puniti. Per tutto lunedì Digos e Arma hanno lavorato per dare un nome agli ultrà mascherati che, partendo dal Meazza, avevano voluto vendicare a loro modo la morte del tifoso laziale. Senza immaginare che, alla fine, nessuno dei dieci arrestati sarebbe rimasto in carcere.
Il primo gruppo di quattro manifestanti era stato liberato già su decisione del pm Sergio Spadaro: contro di loro c’era solo l’accusa di avere sfilato a volto coperto, e per questo reato - secondo la Procura - il fermo era avvenuto fuori tempo massimo. Per altri tre, il pubblico ministero chiede il carcere, ma si vede respingere la richiesta dal giudice delle «direttissime», Elisabetta Meyer. Il più pericoloso, Riccardo Colato, torna libero perché il pm sbaglia a leggere la legge. Gli ultimi della lista sono Aldo Carone e Fabio Pistoia, accusati di avere coperto la biglietteria di San Siro di scritte inneggianti alla violenza contro gli «sbirri».
Davanti al giudice Salvini si mostrano pentiti, e il magistrato li invia agli arresti domiciliari. Nell’ordinanza Salvini mostra di condividere la lettura «politica» degli episodi di domenica: «non è azzardato sostenere che l’attacco diretto contro i poteri pubblici e indiretto contro i cittadini, normali utenti dello sport, ha in sé una connotazione eversiva soprattutto se espressione di una strategia pianificata e concordata tra i vari gruppi».

Ma la semplice iniziativa di tracciare le scritte è sufficiente al più per accusare i due di semplice istigazione a delinquere: dunque per loro possono bastare gli arresti domiciliari.

Commenti