Cultura e Spettacoli

Gli ultimi fuochi della Serenissima

Sul finire del Settecento, l’epopea artistica veneziana si conclude. Ma nel segno della pittura altissima di Tiepolo, Guardi e Longhi. E dall’Europa rispondono Reynolds e Watteau

A Giambattista Tiepolo, a Pietro Longhi e a Francesco Guardi toccò in sorte il compito di accompagnare la pittura veneziana alla sua fine. Finisce la favola bella dei soffitti e dei dogi, delle dame, delle Venezie trionfanti e delle Madonne ridenti sulle colline della campagna veneta. Ma finisce col fuoco altissimo di un secolo abitato dagli ultimi geni della storia dell’arte italiana. Giambattista Tiepolo nacque a Venezia nel 1696, nel Sestiere di Castello. Pietro Falca nacque il 5 novembre 1701, nella parrocchia di Santa Maria. Francesco Guardi (1712-1793) nacque da un pittore, fratello di un pittore. Pietro Falca divenne Longhi quando incominciò a dipingere.
La storia divise i compiti: Tiepolo continua a celebrare il trionfo della Venezia di Veronese e di Tiziano, a ventisei anni esegue gli apostoli per la chiesa di San Stae, poi comincia a ricevere gli incarichi per affrescare chiese e palazzi. Poi la serie sublime, una delle gemme nascoste d’Italia, le storie dei patriarchi nella galleria del palazzo dell’Arcivescovado a Udine, la solenne, secolare, sontuosa, biblica austerità che riceve fresca velocità da un pittore che pur amando i suoi nobili progenitori in pittura, guarda la vita e la sorprende, nei volti scorciati, nelle materie magre, nei paesaggi trasparenti. Di tutto questo a Pietro Longhi non interessa nulla. Perché, come disse suo figlio Alessandro, un viaggio a Bologna e la conoscenza di Giuseppe Maria Crespi lo convertirono ad abbandonare la «maniera grande». «Mutò pensiero, ed avendo uno spirito brillante e bizzarro, posesi a dipingere... civili trattenimenti, cioè conversazioni, con ischerzi d’amore, di gelosie, i quali tratti esattamente dal naturale, fecero colpo». Concerti e lezioni di ballo, giochi e dentisti, umili venditrici di ciambelle e maestri di musica divennero i soggetti delle sue scene, quadri di genere, come si suol dire, che mostrano quel che accade ai piani bassi dei palazzi in alto affrescati dal collega Tiepolo: i vestiti e le premure, le lezioni che precedono il ballo, le vestizioni che preparano la festa. Longhi sta giù, Tiepolo lassù, sui ponteggi che lo porteranno ai grandi soffitti d’Europa, agli ultimi trionfi di una civiltà che sta spargendo su metri e metri quadrati di affreschi l’orgoglio della sua nobiltà e della sua cultura: Wurzburg, Madrid. Nel frattempo Francesco Guardi sembra corrodere pian piano l’ottica e illuministica visione di Canaletto. Le architetture si sfaldano dietro le nubi, i cieli chiari si aprono ai grigi, le vecchie, meticolose «macchiette» dei vedutisti vibrano nelle piazze come ombre incerte.
Joshua Reynolds (1723- 1792) e Jean-Antoine Watteau (1684-1721), in Inghilterra e in Francia, narrano la stesa storia. Di colori e di feste, di travestimenti e di cacce. Sotto sotto preme la vita, e quell'amore per il «moderno» che dirà Baudelaire. Reynolds parte da Michelangelo e da Van Dyck per giungere alle sue figure colpite dalla luce, nei boschi. E non importa se sono tutti nobili. Watteau vena di malinconia la sua visione della vita, ma la sente pulsare.
Alla fine del secolo Francesco Guardi dipinge L’incendio di San Marcuola. È il 1789, Napoleone è alle porte e con lui la fine della Serenissima. La pittura veneziana brucia. Tiepolo dipinge Pulcinella in altalena, Pulcinella in Arcadia, Pulcinella incoronato.

Dipinge il «moderno».

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