Controcultura

Vendetta e sangue nel Far West all'orientale

"Ferrovia di sangue", edito in Italia da Einaudi, è il debutto letterario di Tom Lin. Il giovane scrittore, nato in Cina, si è trasferito con la famiglia negli Stati Uniti quando aveva quattro anni

Quante volte è stata raccontata la conquista della Frontiera? Con quanti stili diversi che potessero incarnare l'epica del Far West si sono espressi gli autori? Una volta c'era solo la versione dei pionieri e dei cowboy. Poi sono arrivati i racconti dei nativi d'America e quelli degli afroamericani. Con il recente Ferrovia di sangue (Einaudi) di Tom Lin emerge la voce dei cinesi che costruirono le grandi ferrovie, lavorarono nelle miniere, vissero nei villaggi dei cercatori d'oro, abitarono le nuove città mettendo in piedi lavanderie, seterie e luoghi dove i bianchi fumavano l'oppio.

Da sempre gli asiatici sono stati visti come manodopera a basso costo da usare e persino come possibile pericolo da combattere per difendere i costumi dei nuovi americani. La loro presenza nella narrativa western è sempre stata marginale e prima della serie tv Kung Fu del 1972 era difficile che la cultura shaolin e la comunità cinese venissero raccontate con altri occhi. Anche una recente fiction come Deadwood ci ha mostrato solo il lato oscuro della comunità nel Dakota del Sud. Sorprende così che Ferrovia di sangue metta invece al centro della sua storia proprio un eroe di origine asiatica, un cavaliere solitario e un vendicatore implacabile che si chiama Ming Tsu. È alto, grosso, occhi e capelli neri e non ha il solito codino. E «da molto tempo uccidere ha smesso di turbarlo». È uno che sa sparare e non si preoccupa di farlo spesso.

Le sue peripezie si svolgono nel 1869 in un territorio che va dalle Sierras del Nevada alle coste della California. Sul suo corpo Ming ha cicatrici e tagli, e dopo aver passato anni a costruire come operaio i binari della Central Pacific non vede l'ora di vendicarsi di coloro che hanno rovinato la sua vita e quella della sua comunità. Per questo darà la caccia al reclutatore Judah Ambrose e al caposquadra James Ellis e li farà fuori. Non ha pietà Tsu, anche se il suo agire sembra legato al desiderio di ricongiungersi alla sua amata Ada. Sa uccidere, così come sa che il destino con lui non è stato generoso. Sa usare la pistola, sa che le sue azioni faranno mettere una taglia su di lui. Non si fida di nessuno al di fuori di se stesso eppure comprenderà i vaticini del Profeta, un santone cieco che per un po' lo affiancherà durante il suo viaggio. Un uomo mistico che conosce la Terra, i suoi fossili e il destino degli uomini. E la conta dei morti aumenta vorticosamente man mano che procede il romanzo scritto da Tom Lin. Una storia che fa suoi gli immaginari di Cormac McCarthy, Elmore Leonard, Joe R. Lansdale ma anche del Quentin Tarantino di Django Unchained. Un romanzo violento nel quale entra talvolta in scena un elemento magico, perturbante, misterioso che mescola allo stile western quello gotico. Perché fondamentalmente il Far West è sempre stato la terra dell'ignoto, quella dove si poteva morire di sete attraversando un deserto, o dove si poteva venire scalpati dagli indiani e frustati dai bianchi. Un luogo a tratti spettrale, come narravano le cronache redatte dal Generale Custer e svelavano i racconti di Ambrose Bierce. Intorno a un bivacco di notte si potevano ascoltare o raccontare certe storie bizzarre e talvolta anche i luoghi più abbandonati potevano essere attraversati da carrozzoni dove imbroglioni e freak potevano vivere un'altra vita.

Perché i miracoli come i miraggi possono esistere nella Frontiera e Ming Tsu sa come affrontare entrambi in piedi con in pugno le sue pistole.

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