Verona«Mamma, mamma, dammi i soldi che vado a comperare il palloncino colorato». Ai bambini il «colpo del Duomo» aveva rovinato Santa Lucia, la festa dei doni a Verona, domenica 13, e ora i piccoli si rifanno portando in piazza Bra i balocchi volanti per Silvio. Sono multicolore contro il cielo grigio: rosa, arancioni, violetta ma soprattutto candidi. Verso le undici il sottosegretario Aldo Brancher e Daniele Polato, assessore comunale al Patrimonio, sono assediati dallincredulità: «Davvero telefonerà il presidente? Non è uno scherzo?», qualcuno domanda. «Con una piazza così? risponde Polato . Non vedete come è bella, quanto è giovane... La telefonata ci sarà. Di una cosa siamo certi: il presidente non tradisce mai». Brancher conferma la promessa, e allora i grandi vanno alla ricerca di registratori portatili per poi riportarsi a casa il ricordo di questo momento.
Fa freddo, meno 5 gradi. «La telefonata del premier ci scalderà il cuore», dice una voce tra le tante. Una signora distribuisce candele: «Non è per il freddo, ma per mostrare che abbiamo tanta luce nellanima per sconfiggere lombra della violenza». Non cè folla in Bra. Questo manipolo, che si infoltisce di minuto in minuto dal Municipio verso il Liston, la strada della passeggiata veronese, è tenace e contento sotto le bandiere del popolo azzurro. Nessuno spazio alle lacrime del dolore, solo a quelle della commozione: in fondo tra qualche giorno è Natale, e nel vicino cinema il manifesto della fiaba di Dickens A Christmas Carol lo mostra a chiare lettere. Il bene rinascerà sempre, anche in mezzo agli spettri delloscurità.
Spiccano le fasce tricolori dei sindaci, mentre scorrono le note dellInno nazionale. Tanti gli striscioni dei Giovani della libertà: «Facciamo muro contro la violenza». «Basta con linvidia. Vogliamo lamore». «Siamo il fronte della concordia». Non nevica, secondo previsione, ma il sole tenue è sufficiente per mostrare le fronti serene. Il volto vincente è quello della speranza.
Politici e amministratori locali stanno in mezzo alla gente. Quando dalla scalinata del Municipio interviene Alberto Giorgetti, sottosegretario ex An e ora del Pdl, tra la gente serpeggia anche un po di malumore. «Oggi Giorgetti parla con noi, ma gli ex An devono smetterla di fare ostruzionismo. Cè chi ha tentato di boicottare anche questa manifestazione. I soldati di Fini devono dire chiaramente se stanno con lui o con noi. Non possono fare come Casini, che un giorno va da una parte e un giorno dallaltra...».
Alcuni sono in piazza dalle dieci e si scaldano le mani lun laltro per proteggersi da una cattiva stagione che ora è solo fuori, non più dentro. Linverno della settimana appena trascorsa sembra lontano. Alle 11 e mezzo dalla scalinata Brancher compone sul cellulare il numero di Arcore. «Un attimo! - si sente in tutta la piazza la voce della segreteria di Arcore -. Il presidente ha la linea occupata». «La linea occupata? - esclama una ragazza -. Ma lavora troppo, doveva riposare! Oggi siamo qui anche se è domenica per fargli capire che deve concedersi un po di relax. Lavoriamo noi per lui...».
Tutti si augurano che la piazza di Verona venga imitata anche da altre piazze del Paese. I bambini corrono tra le gambe lunghe dei grandi, spontanei, perché nulla è organizzato. È il tempo dellimmediatezza e dello slancio, di persone che non si arrendono ai proclami, ma ascoltano una voce. Non politica. Non partitica. Semplicemente umana.
«Sento le parole di una musica: Meno male che Silvio cè - commenta alla fine il premier al telefono . Le cambieremo, qui, a Verona: Meno male che noi ci siamo...».
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