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William, principe-giornalista (ma suddito del buonismo)

Il figlio di Carlo scrive il suo primo articolo per il Telegraph: "Le baby gang? Bisogna dialogare con chi accoltella"

William, principe-giornalista (ma suddito del buonismo)

William Arthur Philip Louis Montbatten-Windsor ha compiuto ieri ventisette anni. Auguri dai sudditi del regno e dai lettori del Telegraph, edizione domenicale. Avrete capito che si tratta del principe William, primogenito di Diana che fu e di Carlo che è, l’erede che assomiglia in tutto a sua madre ma che ogni tanto combina qualcosa che fa arricciare il naso agli inglesi dell’altro secolo.
William è laureato in geografia all’università scozzese di St. Andrews, dopo aver frequentato le aule di Eton e allora uno potrebbe pensare che il principe sia abituato a circondarsi dei soliti cortigiani, tutti con l’accento cockney, dialetto londinese, tutti vestiti con il tight, tutti impegnati in feste e giochi di società, scommesse, cavalli e polo.

In verità William conosce benissimo anche l’altra faccia della sua generazione, quella un po’ depravata, quella emarginata, si potrebbe dire le gang che stanno molestando e colpendo in ogni dove, anche nella capitale, uccidendo, accoltellando, ritornando agli anni bui delle lotte tra i mods (i fanatici del jazz «moderno», vestiti sobriamente, giacca, cravattino, pantaloni stretti) e i rockers (i nemici, i teppisti fanatici del «rock and roll», con giubbotti di cuoio, stivali lerci, fazzoletto al collo e coltello a serramanico infilato nei jeans marchiati).

Dunque il principe ne ha voluto scrivere sul Sunday Telegraph, come esordio della propria collaborazione giornalistica, in attesa di diventare pilota di elicotteri (è luogotenente della Raf) come suo fratellino Harry. Non si accontenta di essere stato nominato ufficiale dalla propria nonna, Sua altezza la regina Elisabetta la quale, fra mille cose, abiti e borsette è anche capo delle forze armate. No, vuole scrivere, non un diario come molti sognano vista la cronaca che ha riguardato i parenti suoi, ma le storie di tutti i giorni e dunque ha voluto incominciare parlando delle bande di teddy boys, così si diceva un tempo, nei favolosi anni Cinquanta, teddy era il diminutivo di Edward, così era chi si vestiva alla moda del regno di Edoardo VII.
William ha voluto conoscerne alcuni, anzi ha scelto proprio i boss, i capibanda: «Sono quelli che vengono presi come punto di riferimento, vengono rispettati, me lo ha spiegato uno di loro. In fondo è quello che tutti noi desideriamo, ricevere il rispetto. Loro puntano a comporre una banda, a entrarvi, a farvi parte, il nostro Paese dovrebbe cercare di trasformare le gang in gruppi, in squadre, il membro di una gang dovrebbe diventare lui il capo di una squadra, come accade sotto le armi ma lasciando fuori la violenza e sfruttando al massimo la coesione del gruppo stesso».

Sembra di leggere, e di ascoltare, le parole di un banale allenatore di calcio, quello che parla dell’amalgama, dell’umiltà, dell’importanza del collettivo, del tutti per uno e uno per tutti. Ma se lo dice e lo scrive un principe, e che principe, allora diventa uno special one, quello vero, e i sudditi possono ubbidire, credere e combattere.
William ne ha competenza, ha ereditato dalla madre Diana, oltre alle sembianze, anche il ruolo di patrocinatore del Centrepoint che è un’associazione londinese che si occupa dei giovani disagiati, senzatetto, senza lavoro.

La principessa Diana aveva ricordato al figlio, ancora bambino, che un re ha il dovere di conoscere la vera faccia del Paese nel quale è chiamato a regnare e soprattutto di venire incontro alle esigenze e alle richieste dei giovani emarginati, di chi vive un’esistenza difficile dovuta alle malattie, ai problemi familiari, a situazioni ambientali precarie che spesso possono portare alla violenza. Suo padre si dedica alla cura degli alberi e delle foreste, almeno il figlio si preoccupa dei coetanei. William ieri si è tuttavia smentito, ha deriso suo fratello Harry dicendo che ha la testa rossa come il ginger, provocando reazioni tra i bacchettoni inglesi, quelli rossi di capelli ovviamente.

I Windsor sono abituati alle critiche, sanno che c’è di peggio nella vita, oh yes.

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