Coronavirus

La biologa che ha isolato il virus: “Resterà per molto tempo”

“L'emergenza che abbiamo è quella di rallentare la corsa del virus, mitigarne gli effetti, senza arrestare del tutto il sistema. La giusta misura è difficilissima da trovare”, spiega la dottoressa Capobianchi

La biologa che ha isolato il virus: “Resterà per molto tempo”

Non ci libereremo tanto presto del Coronavirus, questa la convinzione della dottoressa Maria Rosaria Capobianchi, direttrice del laboratorio di virologia presso l'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”. Intervistata da “Il Corriere della Sera”, la biologa ora conosciuta per aver isolato il Sars-CoV-2 in Italia, spiega che c'è ancora tanto da fare e da conoscere prima di poter finalmente lasciarci alle spalle il patogeno. “L'unico virus che finora l'umanità ha completamente debellato è il vaiolo. Qualsiasi prospettiva di un'uscita rapida da questa pandemia, compreso l'arrivo dei vaccini, è un'ipotesi consolatoria”, dichiara la Capobianchi, che sino ad oggi ha lavorato alacremente, evitando le ospitate in televisione come certi altri suoi colleghi. Nei suoi anni di carriera la dottoressa si è trovata ad affrontare ad a studiare numerosi altri virus, alcuni anche molto più pericolosi e letali del Covid-19, come l'Ebola.

L'avversario che abbiamo davanti è poderoso, ma ne abbiamo conosciuti di più letali”, afferma infatti la direttrice. “Senza andare alla peste del 1600, che era però causata da un batterio e non da un virus, l'influenza spagnola del 1918 ha provocato più di 40 milioni di vittime e mezzo miliardo di contagi. Ed è andata a cicli, come tutte le pandemie. Succederà anche stavolta”.

Ma come si presenta il Coronavirus? La Capobianchi, che ha visto il patogeno attraverso il microscopio, prova a darne una descrizione su richiesta del giornalista. “È rotondeggiante, mentre quello di Ebola, per esempio, sembra più un bastoncello contorto”, racconta. “E poi ha un genoma tre volte più grande di quello dell'Hiv”. A questa struttura si aggiungono le famose “punte” che la ricercatrice definisce “zampette”, delle zampette “presenti come una corona sulla superficie, con le quali il virus si attacca ai recettori presenti su un'altra superficie, quella della cellula, per parassitarla”.

La Capobianchi spiega che il recettore utilizzato dal Coronavirus per infettare l'ospite si chiama Ace-2. “È un componente importante dei meccanismi fisiologici di regolazione cellulare: il virus lo usa come un ladro che con una chiave falsa si introduce in una casa per derubarla”, precisa la dottoressa. In questo modo il virus si trasmette di persona in persona, la replicazione è il suo modo di sopravvivere. “Da parassita qual è, diventa vivo solo quando riesce a entrare in una cellula”, aggiunge la biologa. “A quel punto, ne prende il controllo: come i virus dei computer, la manda in bomba, si impadronisce del suo metabolismo, si adopera per moltiplicarsi e dopo averla prosciugata ne esce per andare a infettare altre cellule”.

Ed è stato tramite la replicazione ed il passaggio da un individuo ad un altro che, tramite i viaggi extra-continentali, il virus ha raggiunto l'Italia. “A fine gennaio, i primi due turisti cinesi arrivati da noi mostravano i sintomi: i medici sono stati abbastanza acuti da ipotizzare la nuova malattia”, racconta la Capobianchi, “Allo Spallanzani abbiamo fatto rapidamente la diagnosi, identificando il virus grazie ad un frammento del suo genoma, e abbiamo allestito la coltura cellulare per ottenerne l'isolamento. Capito chi era, o cos'era, la catena di tracciamento ha funzionato e sono stati bloccati tutti i contatti dei due pazienti”.

Il virus però, come si sta sempre più affermando in questi giorni, si era diffuso nel nostro Paese già da molto prima, e nel nord Italia è riuscito ad infettare numerosi cittadini. Si tratta di un patogeno nuovo, spiega la dottoressa, nei confronti del quale l'essere umano non ha ancora sviluppato una immunità. “In più non è facile da riconoscere, i sintomi iniziali possono essere confusi con quelli di una banale costipazione, spesso sono sfumati o mancano del tutto. Ma in compenso è molto contagioso, si diffonde con estrema rapidità, aggredisce le vie respiratorie che sono l'accesso più disponibile, nel senso che tutti respiriamo ed entriamo in contatto con altra gente che respira”, continua la biologa.

Ma come difendersi dal virus? Come evitare la trasmissione? “Se fossimo perfetti nelle misure di protezione, il dramma diminuirebbe di molto”, ammette la Capobianchi, che poi bacchetta certi comportamenti. “Ma non siamo perfetti e il virus si approfitta di ogni crepa per infilarsi e riprodursi. Certo, se le crepe le allarghiamo da soli, come è successo questa estate, si è poi costretti a ricominciare da capo la conta dei contagiati, dei ricoveri, dei morti. Si è costretti a prendere misure di drastica limitazione della vita pubblica, che sono l'unico rimedio realisticamente praticabile. Anche se con un costo sociale altissimo”. La dottoressa è consapevole dei posti di lavoro persi e delle difficoltà incontrate dalla popolazione: “L'emergenza che abbiamo, non soltanto in Italia, è quella di rallentare la corsa del virus, mitigarne gli effetti, senza arrestare del tutto il sistema. La giusta misura è difficilissima da trovare”.

Quanto alle armi per combattere il virus, la Capobianchi afferma che al momento “non ci sono ancora terapie capaci di vincere il Covid”. Il virus, a suo dire, si può quindi solo contenere, non eliminare. Il vaccino? Tutto da vedere. “Quanto al vaccino, siamo molto vicini. Ma quanto durerà la protezione che ci garantirà? Non si sa.

Potrebbe essere necessario ritirarlo ogni anno, come per il vaccino influenzale”, spiega la dottoressa, “perché è probabile che questo virus non sarà stroncato come è successo per il Sars-Cov nel 2002, e quindi avremo a che fare con lui, temo, ancora per molto tempo e diverse altre stagioni, come per le ondate di influenza”.

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