Giù la maschera

Lampedusa dancing

Sinceramente vorremmo che i balli in strada a Lampedusa fra migranti e isolani, che abbiamo visto girare sui social, durassero all'infinito. La musica che unisce

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Sinceramente vorremmo che i balli in strada a Lampedusa fra migranti e isolani, che abbiamo visto girare sui social, durassero all'infinito. La musica che unisce. «Ecco la vera integrazione». Siamo tutti migranti sotto lo stesso cielo e cazzate del genere. Certo, forse la festa patronale della Madonna di Porto Salvo non è del tutto inclusiva e quindi un po' razzista. Ma cosa importa? Ci penseremo domani.

Ecco, il domani è già oggi. E ora cosa facciamo? Lampedusa è in festa, ed è meraviglioso. Ma quando quei ragazzi, in fuga dalle guerre, dal clima, dalla povertà o anche solo, Io Capitano, inseguendo il sogno dell'Occidente libero e ricco, arriveranno nelle periferie delle nostre città, nelle stazioni, nei campi? Quando saranno abbandonati, quando saranno sfruttati, quando cominceranno a mendicare o - succederà - a delinquere?

Il ceto medio riflessivo e democratico e il popolo dell'accoglienza coi capelli viola, guardando il video lampedusano, si saranno messi a ballare di gioia, nei loro loft. Poi, spenta la musica, spazzata via la facile ostentazione dei buoni sentimenti (necessaria per la speranza, controproducente per la realtà), resterà tutto il resto: il caos, i migranti che assaltato i negozi di alimentari di Lampedusa e quelli che toccano il culo alle volontarie con le bottiglie d'acqua. Gli sbarchi sono raddoppiati: da 66mila del 2022 ai 126mila oggi. Il problema non lo risolviamo col razzismo che «I neri hanno la musica nel sangue» e neanche con la retorica del villaggio Valtur, balli in spiaggia e spaghettate. Meglio prepararsi.

Quando tutto inizia bene, di solito finisce malissimo.

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