Cultura e Spettacoli

Cruto, inventò la prima vera lampadina ma l’Italia lasciò che si spegnesse al buio

Se vi dicono «lampadina» è molto facile che, per riflesso condizionato, il primo nome che vi venga in mente sia quello di Thomas Alva Edison. Bene, Edison, che fu un genio, ma soprattutto un grandissimo organizzatore industriale del genio, ha tanti meriti, ma non quello di aver inventato la lampadina. Almeno non come oggetto in grado di funzionare per più di qualche manciata di minuti.
Il primo che riuscì a costruire un filamento capace di brillare, con una potente luce bianca, senza bruciare in pochi attimi, fu un italiano che morì cent’anni fa e che quasi nessuno più ricorda: Alessandro Cruto. Ma veniamo ai fatti, quelli che ci restituisce Vittoria Haziel nel suo Il signore della luce (Aragno, pagg. 266, euro 14).
Sul finire degli anni ’70 dell’Ottocento sono in molti a contendersi il primato sulla lampadina: Edison, Swan, Woodward, persino Hiram Maxim. Tutti però hanno lo stesso problema: i filamenti al platino fondono, quelli al carbone si spezzano. Così, quando Edison, supportato da finanziamenti enormi (300mila dollari), presenta il suo prototipo, nel 1879, si tratta soltanto di un gingillo che produce poca luce rossastra.
Ed è allora che spunta l’incredibile Alessandro Cruto. Nato nel 1847, è un capomastro di Piossasco, un paesino alle porte di Torino. Per i suoi concittadini è «il matto», perché lavora di giorno e studia di notte. Lui, che è povero e ha la quinta elementare, va in giro con libroni di fisica e chimica, e si costruisce da solo strumenti che gli scoppiano in casa. Anche se può sembrare una cosa da fiaba, Cruto riesce dove Edison e i suoi soldi hanno fallito. Realizza un filamento di carbonio sintetico e accende per la prima volta una vera lampadina, il 5 marzo 1880. Nel 1882 le sue lampadine sono già all’esposizione di Monaco, dove tutti gli specialisti le giudicano migliori di quelle di Edison. Prima a Piossasco e poi ad Alpignano mette in piedi una fabbrica ai vertici della tecnologia. Poi succede ciò che deve succedere in Italia. I finanziatori di Cruto hanno 5000 lire di fondi, non 300mila dollari. In più litigano tra loro. Edison è più forte nell’imporre brevetti internazionali. Quando Cruto chiede aiuto allo Stato, nessuno glielo dà.
Ma, in fondo, sin qui niente di male.

Quello che Cruto non si sarebbe aspettato è che il nostro Paese fosse troppo povero (spiritualmente) anche soltanto per ricordarsi del suo primato, che svendesse anche quello a Edison.

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