Controstorie

La foiba di Basovizza e quella visita storica che sa di fregatura

Per la prima volta un leader sloveno omaggia le vittime italiane di Tito. Ma è una riconciliazione-bidone che ci costerà una trentina di milioni

La foiba di Basovizza e quella visita storica che sa di fregatura

La prima volta di un presidente sloveno sulla foiba di Basovizza, che domani renderà omaggio con il capo dello Stato italiano al luogo simbolo delle vittime italiane di Tito. Il 13 luglio era partita come una giornata storica, ma rischia di trasformarsi in «bidone» storico e non certo riconciliazione grazie alle imposizioni di Lubiana e all'arrendevolezza italiana. Non solo la richiesta slovena di commemorare quattro fucilati durante il fascismo, ma anche medaglie non previste allo scrittore ultracentenario Boris Pahor, che si ricorda di azioni squadristiche quando aveva 6 anni.

Tutto è partito dalla riconsegna alla minoranza slovena dell'ex hotel Balkan, il 13 luglio, esattamente 100 anni dopo l'incendio che distrusse l'allora Narodni Dom, la casa del popolo degli slavi di Trieste all'interno dell'albergo. Per la storiografia ufficiale fu un vile attacco fascista, ma dati, fotografie e testimonianze dimostrerebbero il contrario. E la riconsegna avviene non solo con Mattarella, ma una passerella di ministri, Di Maio, Lamorgese e Manfredi oltre a Patuanelli solo perché originario di Trieste. Una «riconciliazione» senza popolo, per evitare contestazioni e giornalisti.

Gli esuli sulla foiba saranno ridotti a un sparuto gruppetto di una quindicina di persone grazie alla scusa delle norme anti virus, nonostante ci siano spazi chilometrici per il distanziamento. E con la stessa scusa, per evitare domande scomode, l'accesso alla stampa è vietato, a parte Rai Quirinale e forse il quotidiano locale, allineato e coperto, con diffusione in streaming in puro stile sovietico.

Domani il presidente sloveno Borut Pahor e il capo dello Stato, Sergio Mattarella si incontreranno alla foiba di Basovizza, monumento nazionale. La prima volta di un presidente sloveno sul luogo simbolo delle violenze dei partigiani di Tito contro gli italiani, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Non potevano mancare le reazioni dei negazionisti come Claudia Cernigoi e l'ex senatore del Pci, Stojan Spetic, di fatto appoggiati da uno stuolo di intellettuali e politici locali. Spetic è convinto che si tratti «di un'improvvisazione politica e una gratuita concessione al revisionismo storico delle destre».

Dopo la foiba, Pahor, con un «ricatto», ha preteso in cambio di trascinare Mattarella davanti al cippo, sempre a Basovizza, dedicato a quattro membri dell'Organizzazione Rivoluzionaria della Venezia Giulia (Tigr), ultranazionalista slava, fucilati nel 1930 con una sentenza del tribunale speciale per la difesa dello Stato. «Secondo le attuali leggi italiane queste vittime sono considerate come terroristi - ha dichiarato Pahor alla tv slovena - Il gesto deve essere inteso come un atto silenzioso di riabilitazione politica dei membri del Tigr e di quei combattenti antifascisti attivi anche prima dell'inizio della seconda guerra mondiale». L'organizzazione clandestina si era macchiata di attentati, omicidi e sabotaggi, costati la vita a civili italiani e sloveni. Per Mattarella dovrebbe suonare almeno imbarazzante l'atto di fede dei «martiri» di Basovizza. «Giuro davanti a Dio, sull'onore mio e della mia famiglia, che farò tutto il possibile per la liberazione del Litorale (Venezia Giulia nda), che deve essere unito alla Jugoslavia» ripetevano gli irredentisti slavi. Lo stesso tentativo annessionistico che riuscì a Tito dopo il 1945, a parte Trieste, dove ci ha lasciato come ricordo della sua occupazione di quaranta giorni la foiba di Basovizza.

Le mosse slovene e italiane hanno spaccato gli esuli istriani sull'intera giornata del 13 luglio. Federesuli, a cominciare dall'Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, difendono l'evento. Il presidente, Renzo Codarin «comprende che i presidenti, in nome della pacificazione, devono fare anche questo passaggio» al monumento dei fucilati di Basovizza. Massimiliano Lacota, leader dell'Unione degli istriani non ci sta: «A queste condizioni non vado alla foiba. Se lo facessi, sarei obbligato a usare un mezzo della Prefettura, che poi si reca anche al monumento dei fucilati, perché tutta la zona sarà blindata. I morti si rivoltano nelle tombe. Il 13 luglio è diventato un atto politico, tutto fuorché un omaggio sincero agli infoibati».

In prefettura i capi di Stato firmeranno la cessione del palazzo dell'allora hotel Balkan alla comunità slovena, ma anche croati e serbi rivendicano il loro spazio. Secondo la storiografia ufficiale l'incendio del Balkan, sede del Narodni Dom, un insieme di circoli economici, culturali e ultra nazionalisti delle comunità slave, è il primo atto del fascismo triestino. La Lega nazionale e la fondazione Rustia Traine presieduta dall'ex parlamentare, Renzo de' Vidovich, sostengono che la storia è completamente diversa. Nella notte fra l'11 e 12 luglio di 100 anni fa vengono uccisi a Spalato il comandante della nave «Puglia» Tommaso Gulli e il motorista Aldo Rossi in tafferugli con gli slavi. Il giorno dopo, a Trieste, si organizza una manifestazione italiana di protesta e muore il patriota Giovanni Nini, 17 anni, per mano degli slavi. Secondo de' Vidovich «gli jugoslavisti armati (come venivano chiamati allora i nazionalisti slavi nda) si rifugiano nell'hotel Balkan rincorsi da una folla, che voleva vendicare la morte di Nini». Il secondo piano dell'albergo si sospetta fosse una specie di arsenale e proprio da una di quelle finestre vengono esplosi colpi di arma da fuoco e lanciata la granata che uccide Luigi Casciana, tenente del Regio Esercito in servizio di ordine pubblico. Poco dopo divampano le fiamme, proprio dal secondo piano, che in breve distruggono il palazzo. Per la storiografia ufficiale è opera dei fascisti, ma secondo la pista alternativa l'origine sarebbe uno scoppio nella santabarbara slavista o l'incendio scaturito dalla distruzione di documenti compromettenti.

La Slovenia ha sempre chiesto la restituzione dell'edificio per la sua comunità a Trieste, oggi sede della «Scuola per Interpreti e Traduttori». Nel 2017 il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, a caccia di voti per la sede dell'Agenzia europea per i medicinali a Milano (Ema) ottiene l'appoggio sloveno in cambio dell'ex Balkan. L'Italia perde l'Ema, ma Lubiana passa comunque all'incasso. Il risultato è che la riconsegna della Casa del popolo agli sloveni ci costerà 10 milioni di euro oltre al valore attuale del palazzo di 13 milioni. Peccato che per la vicenda del Balkan avevamo già costruito per la comunità, nel 1964, il teatro sloveno e speso altri soldi.

In tutto la «riconciliazione-bidone» e blindata ci costerà una trentina di milioni.

Commenti