Giuramento: quando le parole diventano pietre

Un nuovo saggio di Giorgio Agamben ricostruisce la storia del "“sacramento della parola"che è alla base della nostra vita collettiva. Senza di esso, infatti, nessun patto ha valore: oggi come 10.000 anni fa

Le origini Giuramento. Parola che ormai usiamo poco, che un po’ spaventa per il suo essere un legame indissolubile, che mette assieme ciò che è materiale con l’aura quasi divina di una promessa che non si può infrangere. Eppure questa istituzione, così arcaica che si incunea tra il sacro e il giuridico, senza essere riducibile a nessuno dei due fenomeni presi isolatamente, non è un “oggetto” che possiamo permetterci di dimenticare. Giurano i ministri, giurano i militari, si giura nei tribunali. Si giura prima di diventare avvocati o medici.

Giusnaturalismo E poi lo Stato senza un patto, che esso stesso giuramento, non può esistere. John Locke, uno dei padri del concetto di tolleranza, immaginava uno Stato in cui tutti potessero essere accolti come cittadini a patto che riconoscessero un qualche potere superiore, divino. Perché? Perché secondo il pensatore inglese era proprio il timore di un’entità trascendente a garantire il valore del giuramento e quindi di tutti i patti, compresi quelli che legano tra loro i cittadini, che per difendere il bene comune debbono essere disposti a sacrificare anche la vita.

La sacralità di cui non possiamo fare a meno Ovviamente ne è passata di acqua sotto i ponti dalla teorizzazione giusnaturalista di Locke. Nessuno si sogna più di considerare gli atei dei non cittadini. Ma la questione del giuramento resta complessa, per certi versi irrisolta. E quando si cerca di dargli un fondamento solido la tentazione è sempre quella di far mettere la mano su un testo sacro, come nei film tribunalizzi americani d’antan.

Il saggio Bene a fare il punto sull’origine di questo “oggetto giuridico” così inspiegabile ci prova Giorgio Agamben (professore di filosofia teoretica che, da anni, indaga l’ambito del sacro) in un breve saggio: “Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento” (Laterza, pagg. 104, euro 14). Non è un libro per tutti, perché la brevità e accompagnata da una buona dose di tecnicismo. Però chi ha gli strumenti per tanta lettura si trova di fronte ad uno dei migliori tentativi di spiegare l’arcaica triangolazione tra parola, potere e religiosità. A partire dalla cultura romana e greca, anzi dai suoi precedenti (storicamente ignoti) indeuropei. Per usare le parole dell’autore: “Alle origini della cultura occidentale, in un piccolo territorio ai confini orientali dell’Europa, era apparsa un’esperienza di parola che, tenedosi nel rischo tanto della verità che dell’errore aveva pronunciato il suo si alla lingua....all’uomo come animale parlante e politico”.

E a quelle origini siamo ancora legati. A partire da quando per la prima volta già da bambini abbiamo detto senza pensarci bene: “giuro che è così!”. Ben sapendo che solo con il giuramento la parola diventa vera, ma non sapendo perché.  

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