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La sfida della Sea Watch dopo l'assist del tribunale: "Diffidiamo le autorità italiane"

Dopo la sentenza che sconfessa le autorità libiche, l'Ong diffida l'IRMCC di Roma a sottostare alle indicazioni del Paese nordafricano

La sfida della Sea Watch dopo l'assist del tribunale: "Diffidiamo le autorità italiane"

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Iniziano a delinearsi le prime conseguenze della sentenza con la quale il tribunale di Crotone ha annullato il fermo della nave Ong Sos Humanity, sconfessando di fatto l'autorità libica titolare di una zona SAR riconosciuta dall'IMO. Un'altra Ong tedesca, la Sea-Watch, ha annunciato di aver diffidato l'IMRCC italiano dall'ordinare alle navi della flotta civile di sottostare alle indicazioni della Guardia costiera libica, che per le convenzioni internazionali ha autonomia decisionale in quella parte di acque internazionali.

"Con la minaccia di sanzioni, le autorità italiane chiedono ogni giorno ai nostri capitani di violare il diritto internazionale e macchiarsi di più gravi crimini, collaborando con la cosiddetta guardia costiera libica nei respingimenti illegali di coloro che tentano di attraversare il Mediterraneo", scrive la Ong in una nota, facendo riferimento al decreto Piantedosi. "Le richieste delle autorità italiane di subordinare le nostre operazioni agli ordini della cosiddetta Guardia costiera libica rappresentano una chiara istigazione a violare i principi già riconosciuti dalla giurisprudenza italiana, mettendo in pericolo la vita di chi ha bisogno di essere soccorso", proseguono dall'organizzazione, facendo leva proprio sulla sentenza.

Ed è in ragione di quello che, spiegano, "Sea-Watch ha diffidato il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano (IMRCC) a continuare con questo modus operandi: basta minacciare le nostre navi di sanzioni amministrative per costringerci a rimanere in silenzio o a collaborare con chi quotidianamente viola i diritti umani delle persone migranti". Grazie al dispositivo firmato dal giudice calabrese, nel quale si legge che "la corte non classifica le attività del centro di controllo dei soccorsi libici e della cosiddetta guardia costiera libica come misure di ricerca e salvataggio, ma come rimpatri illegali", le Ong si sentono autorizzate a operare senza coordinamento in area SAR libica.

"Non possiamo prendere ordini dalla cosiddetta guardia costiera libica, non possiamo prendere ordini da chi non rispetta i diritti umani. Basta, infine, con l’eterna criminalizzazione del soccorso in mare, nell’ultimo anno, secondo l’Agenzia europea per i diritti fondamentali, sono stati aperti oltre settanta procedimenti contro le Ong in mare e ordinati ventun fermi amministrativi", conclude Sea-Watch. Con maggiore forza dopo la sentenza di Crotone, le Ong sono tornate a chiedere l'abolizione del decreto Piantedosi. Grazie al supporto dei tribunali che, in più riprese, li hanno sostenuti, non ultimo il giudice calabrese che ha addotto come motivazione all'annullamento anche il fatto che "il blocco di una imbarcazione naturalmente destinata ad attività di soccorso marittimo nella zona oggetto del presente giudizio con conseguente rischio di compromissione dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nelle tratte in questione", le Ong sentono di poter continuare la battaglia contro l'Italia.

Il nostro Paese continua a essere l'unico del Mediterraneo a subire la pressione delle organizzazioni non governative e dei partiti di sinistra che le supportano. E nonostante nel bacino ci siano Paesi dell'Unione europea che praticano senza remore i respingimenti, l'Italia dev'essere l'unica a subire i diktat della flotta civile.

Esistono numerosi porti sicuri nel Mediterraneo, spesso più vicini rispetto a quelli assegnati dall'IMRCC di Roma: come mai le Ong non vi fanno rotta? Questa domanda si ripete periodicamente ma da quelle parti si ottiene solo silenzio.

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