Politica

Baby pensioni, Quota 100 e quei giovani discriminati

Non è un dato realmente sorprendente, poiché si tratta di uno "scandalo" assai noto e da tempo

Baby pensioni, Quota 100 e quei giovani discriminati

Non è un dato realmente sorprendente, poiché si tratta di uno «scandalo» assai noto e da tempo. Fa comunque impressione constatare, grazie alla Cgia di Mestre, che quanti hanno lasciato il posto di lavoro grazie alle «baby-pensioni» ci costano ogni anno quanto il reddito di cittadinanza e perfino un poco di più di non ci costi Quota 100. A quali considerazioni possono guidarci, allora, i dati elaborati dalla Cgia? Come rileva il segretario dell'organizzazione mestrina Renato Mason, i pensionamenti anticipati del ventennio compreso tra gli anni Settanta e gli anni Novanta attestano che da tempo l'Italia ha abbandonato ogni responsabilità generazionale. Si è pensato di ottenere il massimo possibile dal presente e si sono scaricati i costi sui figli. Rilevare questo non significa, ovviamente, mettere sotto accusa chi continua a beneficiare di un trattamento previdenziale di favore. I singoli non hanno grandi colpe, dato che si sono avvalsi di opportunità offerte dall'ordinamento. Tutto ciò, però, è stato reso possibile dall'affermazione di una diffusa cultura politica e, in particolare, dall'abbandono di ogni atteggiamento improntato a serietà e «frugalità». Se ora pretendiamo di vivere grazie a sussidi, questo lo si deve a un'involuzione che ha radici profonde. È quindi giusto che ora, anche dopo le elargizioni dell'Unione, si ponga sotto i riflettori la riforma di Quota 100, la quale contribuisce a tenere bassi i redditi dei giovani e spesso li costringe a emigrare. E al contempo bisogna rilevare come i baby-pensionati degli anni Ottanta abbiano lasciato il lavoro a un'età che era di 20 anni inferiore a quella di quanti ora beneficiano di Quota 100. Ancor più cruciale è capire che attorno alle misure più irresponsabili in ambito previdenziale ci sia, adesso come in passato, un consenso assai ampio: e questo vale per le modifiche alla Fornero esattamente come valeva mezzo secolo fa per la possibilità di congedarsi dal lavoro prima di avere raggiunto i quarant'anni di età. Se allora qualcuno storceva il naso, era solo perché l'opportunità non era data a tutti, ma riguardava specifiche categorie. I giovani sono penalizzati da ogni politica che anticipa l'età pensionabile e questo dovrebbe porre le premesse per un conflitto intergenerazionale, oltre che per un'imprenditoria politica che cavalchi il tema. Invece non è così. Molti giovani non sanno di subire conseguenze, ma soprattutto la «società signorile di massa» (per usare la formula di Luca Ricolfi) ha creato una diffusa empatia a favore di ogni beneficio solidale. L'idea è che il privilegio che ora riguarda altri presto potrà in futuro avvantaggiare me stesso. Soprattutto, i valori dominanti non militano a favore di norme che premino chi ha lavorato di più e penalizzino chi ha fatto altre scelte.

Poiché le cose stanno così, le prospettive per le giovani generazioni non possono essere rosee.

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