Coronavirus

La fabbrica dei respiratori che "assume" i militari

La ditta punta a produrre 500 ventilatori polmonari al mese grazie all'aiuto dell'esercito

La fabbrica dei respiratori che "assume" i militari

Serve ossigeno. Per i malati che hanno bisogno della terapia intensiva e subintensiva, e per i medici che ricavano letti in altri reparti nel tentativo di ampliare l'offerta per i pazienti di coronavirus che faticano a respirare. Creare nuovi posti per gli ammalati più in difficoltà, in termini di spazi e macchinari, è la grande sfida, l'obiettivo imprescindibile: un incremento di oltre mille contagiati al giorno significa che almeno cento persone quotidianamente hanno bisogno di un ausilio meccanico per la respirazione. In attesa della conclusione della gara per allestire 5mila postazioni di rianimazione, la protezione Civile ha firmato attraverso la Consip un contratto con la ditta Siare Engineering di Valsamoggia, provincia di Bologna, per la fornitura immediata di 320 respiratori. A questi si aggiungono diversi ventilatori provenienti da altre parti.

Valsamoggia è un'altra trincea del contagio: non perché è zona rossa, ma perché è il luogo che fa respirare l'Italia. Nelle ultime ore da qui sono partiti «320 respiratori polmonari destinati a Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. Abbiamo aggiunto 5 macchine in extremis per la Liguria. Lavoriamo ora dopo ora» ci spiega il direttore generale, Gianluca Preziosa.

Al lavoro ci sono 35 dipendenti specializzati nell'assemblaggio e nel collaudo di apparecchi respiratori. Venticinque tecnici dell'esercito prederanno servizio in supporto da domani, istruiti da 15 tutor: «Non accadeva dai tempi della guerra che militari entrassero nella produzione» commenta il direttore di questa piccola e «unica realtà» italiana. Di aziende di questo tipo «in Europa ce ne sono cinque».

Si punta a fornire 500 ventilatori al mese. Duemilacinquecento in cinque mesi come minimo. Equivale alla produzione di questa ditta in due anni e mezzo di lavoro, al 14% della produzione mondiale. Nel mondo si fabbricano infatti «circa 35mila respiratori». Sembrano numeri piccoli a paragone del rischio di trasmissione dell'infezione, se si pensa che i pazienti che vanno in terapia intensiva sono mediamente il 10%. La matematica è una delle chiavi di lettura del contagio. I posti in terapia intensiva in Italia sono 5.300. Settecento sono già occupati da malati di coronavirus. Se il Covid-19 si diffonde troppo, i respiratori devono aumentare di pari passo. Per questo l'atteggiamento dei cittadini è la vera carta vincente. Almeno sedici respiratori al giorno usciranno da questa azienda, «ma ne servono di più. Mi auguro che Consip trovi anche altri operatori. Confidiamo comunque in un ulteriore aiuto dell'esercito. Potete immaginare lo sforzo immane». Straordinari, lavoro anche il sabato, massima sicurezza perché ognuno dei 35 è fondamentale: «Non possiamo permetterci di perdere nessuno». Ci sono poi 100 lavoratori delle aziende fornitrici che devono inviare i pezzi e che «si stanno facendo in quattro». Tutto «organizzato in 48 ore dai primi contatti di venerdì». Con una precisazione. «Nessuna speculazione. Le macchine vengono date al 50 per cento in meno rispetto al normale. Abbiamo ragionato da patrioti». Patrioti sembra una parola enfatica, ma è il concetto di contribuire ognuno per quello che può. «Servono spazi e servono misure ancora più rigide. Il contagio deve essere arginato.

Non si può arrivare a staccare un respiratore ad un malato per attaccarlo a un altro».

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