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Un mese di tempo per risolvere la questione Liguria

Il capogruppo Fdi Foti al dem Orlando, candidato in pectore: "Che fai, ti candidi?". In Parlamento aria da dopo-Toti

Un mese di tempo per risolvere la questione Liguria

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Giovedì ora di pranzo. In un transatlantico Montecitorio semideserto per la campagna elettorale per le europee, arrivano gli echi del caso Liguria e si ragiona sul destino del governatore Giovanni Toti agli arresti domiciliari. Davanti alla buvette si incontrano due personaggi che per i ruoli che ricoprono hanno molto da dire sull'argomento: il capogruppo dei deputati di Fratelli d'Italia, Tommaso Foti, e Andrea Orlando, candidato in pectore della sinistra qualora si arrivasse alle elezioni anticipate per la Regione. «Allora che fai ti candidi?», è la battuta che puntuale esce dalla bocca di Foti. E Orlando naturalmente, quasi che l'aspettasse, non si tira indietro. «Che fate voi?», replica con un sorriso consumato.

L'aria è che già sia cominciato il «dopo Toti» in Liguria. Sono pochi quelli che mantengono ben separato il piano politico da quello giudiziario come Matteo Renzi che oggi spiegherà al congresso dell'ANM a Palermo una regola che dovrebbe valere per tutti e cioè che «non possono essere i magistrati a decidere la durata delle istituzioni».

Qui, in parlamento, nel cuore della politica invece i principi spesso si coniugano con il pragmatismo. Alla buvette Foti immagina le condizioni e i tempi per trovare una via d'uscita. «Le dimissioni di Toti? Per ora no», spiega: «Se in un mese spiegherà tutto e dimostrerà che le accuse sono campate in aria, andiamo avanti. Altrimenti vedremo». Raccontano che un suo compagno di partito Giovanni Donzelli in privato immagini addirittura tempi più rapidi: «Sono sicuro dell'innocenza di Toti ma questa vicenda va risolta in 15 giorni, non possiamo tenere una Regione con un Governatore a metà».

Che questa sia l'atmosfera la percepiscono anche sull'altro versante, quello dell'opposizione. E chi ha le antenne più tese non può che essere chi ambisce a prendere il posto di Toti, appunto, Orlando. Il personaggio è in gran spolvero, mezzo Pd lo cerca. Ha una sua idea sullo scandalo, sulle sue dimensioni, sulle sue conseguenze. «La questione - osserva - non è il finanziamento dei partiti, che certamente è un tema ma che in questa vicenda con c'entra nulla. Il problema è che non si possono decidere appalti o concessioni al bar o su uno yacht. Il problema è il sistema. In questo sistema appalti e concessioni lo decidono le imprese direttamente con il governatore. È un andazzo che lede la democrazia».

Per cui nella testa di Orlando, già ministro della Giustizia, lo scontro tra politica e magistratura non è argomento di questa vicenda. «Io non voglio fare il giustizialista - mette le mani avanti l'esponente del Pd - non ci penso proprio. Ma il rapporto tra istituzioni e imprese nella logica di Toti diventa perverso. L'ho detto più volte pubblicamente e lui si è risentito».

Poi, dato che Orlando è uomo di partito e conosce i meccanismi della politica, tira in ballo anche altri. «La cosa strana - racconta - è che questa storia non riguarda tanto noi visto che in Regione non toccavamo palla ma gli altri partiti dell'attuale maggioranza che sono stati tagliati fuori da Toti da ogni decisione. Erano loro - io ci parlavo - ad essere i più arrabbiati».

E la «genesi» del caso secondo Orlando è squisitamente politica. «Secondo me - è il suo ragionamento - Toti ha perso la testa quando ha tentato di proiettarsi sul piano nazionale. Nelle ultime elezioni la sua lista è quella che ha avuto più voti. Se ricordo bene il 22%. Lui a quel punto ha tentato di trasformare il suo movimento in un soggetto nazionale per poter trattare alla pari con gli altri leader del centro-destra. Non gli è andata granché bene per cui si è trovato nella necessità di stringere i bulloni del suo sistema. Ha messo dei personaggi fidati nei ruoli principali in modo da accentrare tutto sulla sua figura. Gli altri partiti della maggioranza non contavano nulla come pure gli altri componenti della giunta regionale».

Ragion per cui per Orlando prima o poi ci sarebbe stata la parola «fine»: «È chiaro che questo stato di cose non poteva durare, che alla fine sarebbe esploso».

E qui l'esponente del Pd non risparmia una punta di sarcasmo: «Tant'è che quando c'è stato il dibattito sul terzo mandato per i governatori, ho detto che per me in Liguria si poteva anche fareE a proposito sarebbe opportuno fare anche una riflessione sul premierato" che somiglia tanto al sistema di governo delle Regioni».

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