Parlamento

Riforme, regge la "tregua elettorale". E l'Autonomia arriva alla Camera

Il penultimo atto sull'autonomia differenziata tanto cara alla Lega va in scena a Montecitorio in un lunedì insolitamente laborioso

Riforme, regge la "tregua elettorale". E l'Autonomia arriva alla Camera

Ascolta ora: "Riforme, regge la "tregua elettorale". E l'Autonomia arriva alla Camera"

Riforme, regge la "tregua elettorale". E l'Autonomia arriva alla Camera

00:00 / 00:00
100 %

Il penultimo atto sull'autonomia differenziata tanto cara alla Lega va in scena a Montecitorio in un lunedì insolitamente laborioso. La riforma fortemente voluta da Matteo Salvini, infatti, ieri mattina è approdata nell'Aula della Camera in vista del via libera definitivo. Con grande soddisfazione del ministro Roberto Calderoli («ci siamo!», scrive sui social) e con il leader del Carroccio che non esita a dirsi soddisfatto perché «i tempi sono stati rispettati». E, aggiunge il vicepremier, «se viene approvata il 5 o il 20 giugno a me cambia poco». In Transatlantico si rincorrono capannelli di leghisti, riuniti per l'occasione perché - spiega Igor Iezzi, capogruppo in Affari costituzionali - ormai «passati quaranta anni da quando è nata la Lega autonomista Lombarda, abbiamo finalmente la possibilità di raggiungere un risultato storico». In Aula, invece, protestano le opposizioni, che contestano la tempistica del dibattito e il discusso voto della scorsa settimana in Commissione. Con il M5s guidato da Giuseppe Conte che al Palazzo preferisce un flash mob in piazza Colonna, a pochi metri dall'ufficio di Giorgia Meloni.

Insomma, un vero e proprio braccio di ferro tra maggioranza e opposizione. Nel quale è difficile non notare l'approccio più che defilato di Fratelli d'Italia e Forza Italia. Fatta eccezione per Tommaso Foti, capogruppo di Fdi alla Camera, che più che ergersi a difensore del ddl sull'autonomia polemizza con Conte che «quando era alleato della Lega» aveva «inserito la riforma nel contratto di governo giallo-verde». Mentre il sostanziale silenzio di Forza Italia è rotto da Roberto Occhiuto, che non solo è governatore della Calabria ma pure vice-segretario del partito. «Mi auguro che al Parlamento sia dato il tempo congruo per valutare questa riforma», dice ribadendo che bisognerebbe verificare che «ci siano le risorse per garantire i livelli essenziali delle prestazioni» nelle «regioni del Mezzogiorno».

Dubbi e distanze, insomma, nel centrodestra continuano ad essere silenziati come accade ormai da qualche settimana. Perché, come è noto, l'ok definitivo all'autonomia differenziata va di pari passo con il via libera in prima lettura al Senato del premierato caro a Meloni e con la separazione delle carriere dei magistrati che Forza Italia riuscirà a portare in Consiglio dei ministri entro fine maggio. Il tutto con l'accordo che l'autonomia non passi prima delle Europee dell'8 e 9 giugno, perché Antonio Tajani teme ricadute al Sud. E infatti martedì della prossima settimana la capigruppo della Camera metterà in calendario cybersicurezza e superbonus, lasciando il ddl di Calderoli in stand by. Della serie, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.

Tutto sta a capire quanto durerà questa tregua e se riuscirà a reggere a una campagna elettorale che - lo impone il sistema proporzionale con cui si vota in Europa - sarà inevitabilmente tutti contro tutti. Con Meloni che domenica a Pescara ha decisamente accelerato, visto che l'idea di chiedere di scrivere sulla scheda «Giorgia» è una trovata comunicativamente efficacissima. Una personalizzazione che ha l'obiettivo di consolidare la sua leadership e che si valuta possa drenare per Fdi un 1-2% in più. Con un obiettivo ambizioso: superare i due milioni di preferenze (nel 2009 Silvio Berlusconi arrivò a 2,7 milioni, mentre nel 2019 Salvini toccò quota 2,2 milioni). E visto che i voti non si spostano da un bacino elettorale all'altro, è chiaro che un affermazione decisa di Meloni sarà anche a scapito degli alleati. Non è un caso che ieri Salvini abbia sottolineato come i suoi impegni da ministro e vicepremier lo abbiano convinto a non candidarsi, a differenza dei suoi due alleati.

A urne chiuse, si farà il bilancio dei nuovi equilibri all'interno della maggioranza. E si tornerà alla quotidianità, iniziando con la delicatissima partita del nuovo presidente della Commissione Ue.

Solo allora si capirà quanto è solida la tregua di queste settimane.

Commenti