Controcultura

La scultura di Deredia è femmina e materna

Le creazioni dell'artista costaricano si basano sul cerchio e la sfera: i simboli della vita

La scultura di Deredia è femmina e materna

Mentre tutto è fermo, mentre gli esseri umani non si possono spostare di regione in regione, e dare senso alla vita, ai rapporti umani, alla conoscenza, si muovono le sculture. E può accadere che un artista costaricano come Jiménez Deredia arrivi a Genova, depositando otto sue grandi opere nel Porto Antico, in piazza De Ferrari, in piazza Matteotti e alla stazione Brignole. Le grandi sculture di marmo e di bronzo lentamente si assimilano alla città, dialogano con il cielo e con il mare. Un mare che conoscono, perché Deredia si è formato e ha lavorato a Carrara, con lo slancio di chi riesce a congiungere la grande tradizione del Rinascimento italiano alla simbologia precolombiana. Così dalle sue forme geometriche esce l'uomo e, con lui, le emozioni, i sentimenti, la pienezza della vita.

Genova ha accolto Deredia e lo ha reso più caldo e umano. Le sculture hanno trovato festosa accoglienza a Genova, tanto che il sindaco Bucci e l'assessore Barbara Grosso hanno deciso di acquisirne una per lasciarla stabilmente davanti alla stazione Brignole nel via vai dei passeggeri in un dialogo fra i due mondi. Deredia viene dalla Costa Rica che fu scoperta da Cristoforo Colombo nel 1502, quando sbarcò nel golfo di Cariari sulla costa caraibica. Oggi è un indigeno, con le sue radici, e i suoi miti, a conquistare Genova, a trovare una sintesi di civiltà, tra Americhe e Europa, tra antico e moderno, tra mito e presente.

Dopo l'esperienza astratta di Arp e di Mirò, la scultura del Novecento ha ripreso il collegamento con il corpo, soprattutto femminile, cercando una sintesi fra astrazione e figurazione. L'artista che compie questa intersezione di corpi e volumi è Henry Moore. Le forme femminili, la maternità, gli abbracci ai figli, l'unione degli sposi: tutti questi intrecci restituiscono umanità e femminile dolcezza alla scultura e aprono a varianti e a nuove prospettive che arrivano fino a riabilitare ispirazioni etniche. Per questo il caso di Jiménez Deredia è esemplare, nello spirito di Moore.

La storia di un artista è la sua opera. Deredia nasce scultore e nella scultura specchia la sua idea del mondo. La scultura è volume e, certamente, al di là della equivalenza dei valori estetici, precede la pittura. L'uomo si rispecchia nella scultura, e cerca la propria forma, manipolando la terra e levigando il sasso. Deredia, partito dalla Costa Rica, arriva a ventuno anni a Carrara, la città da cui provengono i marmi copiosamente distribuiti nella Firenze di Donatello e di Michelangelo. Non è difficile a Deredia partire dagli archetipi della sua terra, le monumentali sfere granitiche della civiltà precolombiana dei Boruca ritrovate nelle foreste pluviali del Costa Rica, per arrivare alle sculture del Rinascimento italiano. In esse Deredia riconosce il riferimento alle pure forme geometriche, al cerchio, alla sfera.

«Tutte le grandi cupole - afferma - erano un omaggio alla sfericità. Ho approfondito i miei studi legati al rapporto stretto tra l'essere e la sfericità, ritornando quindi alle sfere precolombiane. Anche Jung, nel suo Psicologia e alchimia, chiarisce il rapporto con la sfericità. La mia ricerca è concettuale, filosofica, per cui non ci sono artisti a cui mi riferisco. Mi avvicino di più a poeti, filosofi e scrittori come García Márquez e Carlos Fuentes». Non si tratta della ricerca di compensazioni filosofiche e letterarie. È la convinzione profonda di Deredia: «Nelle mie opere racconto il concetto di tempo e di spazio. La donna è l'inizio della vita, la sfera, è il ventre della madre che ci porta sulla Terra che è, ovviamente, sferica. Siamo polvere di stelle. Dentro la sfera c'è la trasmutazione».

Dunque l'aspirazione alla astrazione è una forma di estremismo radicale, espressione di un pensiero e dei teoremi del primo artista moderno, Paul Cézanne. In questo ritrovato spirito si deve «trattare la natura secondo le forme geometriche della sfera, del cilindro e del cono». Una coincidenza sorprendente. Deredia parla dei «concetti che ispirano la mia arte: trasmutazione, tempo, spazio, sfericità e ciclo della vita. La mia intenzione del resto è questa: rappresentare la vita nella sua dinamica. In Costa Rica costruiscono da secoli grandi sfere per testimoniare la vita: io ho voluto riprendere questa memoria ancestrale rielaborandola per proporla oggi». Deredia ha calato gli archetipi della sua terra nei materiali propri della grande scultura occidentale, il marmo e il bronzo. La nuova materia potenzia l'essenza spirituale di quelle sculture ancestrali. L'uomo nuovo ha radici antiche, e Deredia assimila la civiltà e la tradizione dei conquistatori. Non ci sono terre scoperte. Ci sono uomini che hanno lo spirito di Dio dentro, e devono rivelarlo all'esterno, in un'ansia che va oltre la storia e le religioni. Un'essenza dell'uomo tradotta in forme essenziali.

Deredia cerca, nelle sue forme, l'anima dell'uomo; e non parrà strano che i volti delle sue figure femminili escano da un velo che ne potenzia la forma come nell'Annunciata di Antonello o nelle teste femminili di Francesco Laurana. C'è una naturale classicità in questo artista così fedele alla tradizione e alla memoria dell'arte precolombiana. E, dopo i volti, le membra si intrecciano come serpenti. Lui lo chiama: «simbolismo trasmutativo». Ed è talmente convinto che lo spirito dell'uomo non possa essere sottoposto alla varietà delle religioni che trova punti di convergenza tra la cultura dell'Europa e quella dell'antichità del Nuovo Mondo. Così toccherà a lui essere il primo artista non europeo presente nella Fabbrica di San Pietro con la scultura di San Marcellino Champagnat.

La riflessione sulla compiutezza formale della sfera presuppone un superamento delle contrapposizioni e delle distanze. Da qualunque punto la si veda. Dio è uno e l'anima dell'uomo intuitivamente lo conosce.

In fondo Dio è una grande Madre.

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