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Torna la messa in latino, la fronda dei vescovi

Domani entra in vigore il Motu proprio con il quale si liberalizza il rito preconciliare. Benedetto XVI: "Ciò che per le vecchie generazioni era sacro, per noi non può essere dannoso o proibito". Monsignor Brandolin di Sora: "Un giorno di lutto per chi lavorò al Concilio"

Torna la messa in latino, 
la fronda dei vescovi

Roma - La data è quella di domani, ma le discussioni e le polemiche non hanno aspettato il 14 settembre per esplodere. Il Motu proprio «Summorum Pontificum», con il quale Benedetto XVI ha liberalizzato il messale preconciliare, entra in vigore nelle prossime ore. I sacerdoti non dovranno chiedere alcun permesso per usare l’antico rito nelle messe fuori orario, mentre nel caso vi siano gruppi stabili di persone che chiedono al parroco l’antica liturgia questa dovrà essere concessa anche nelle celebrazioni domenicali delle parrocchie. Nella lettera inviata dal Papa a tutti i vescovi, si legge: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso».

QUELLI CHE... GIOISCONO
Domani pomeriggio, alle 18, nella basilica della Santa Casa di Loreto, il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente di Ecclesia Dei, celebrerà un solenne pontificale in rito antico seguito dal «Te Deum»: sarà presente anche l’ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede Nikolay Sadchikov, a seguito delle dichiarazioni del patriarca Alessio II aveva detto al Giornale: «Il recupero e la valorizzazione dell’antica tradizione liturgica è un fatto che noi salutiamo positivamente». Il vescovo di Frosinone, Salvatore Boccaccio, ha scritto al Papa per ringraziarlo dell’iniziativa. All’indomani della pubblicazione del documento era intervenuto anche il cardinale Camillo Ruini, Vicario di Roma, per presentare ai fedeli l’iniziativa. A Genova, domani alle 18.45, nella chiesa di San Carlo, sarà celebrata una messa antica presso l’altare del Crocifisso; a Ravenna l’arcivescovo Giuseppe Verucchi farà celebrare stabilmente la messa tridentina in cattedrale. Molti altri presuli italiani hanno già risposto positivamente alle richieste di sacerdoti e fedeli. La sezione veronese dell’associazione tradizionalista «Una Voce», intanto, ha messo in rete un fac simile di richiesta per «fruire della celebrazione» tridentina.

QUELLI CHE... RESISTONO
Al momento della pubblicazione del Motu proprio, il vescovo di Sora Luca Brandolini aveva detto: «È un giorno di lutto, non solo per me, ma per i tanti che hanno vissuto e lavorato per il Concilio Vaticano II». L’arcivescovo di Pisa Alessandro Plotti, nonostante il Motu proprio stabilisca che i fedeli si rivolgano direttamente ai parroci, è prontamente intervenuto con una notificazione stabilendo che «in nessuna parrocchia si introduca l’uso del messale del 1962», solo «per offrire in maniera indiscriminata la celebrazione in latino», e ordinando che «prima di concedere o di negare tale privilegio» si passi comunque per il vescovo. Duro anche il vescovo di Alba, Sebastiano Dho, che presiede la commissione liturgica dei vescovi piemontesi: ha suonato il campanello d’allarme parlando del rischio che con l’applicazione della decisione papale si venga a creare «una Chiesa parallela». Mentre il vescovo di Como Diego Coletti avverte che la richiesta della messa tridentina «non può essere avanzata da singoli credenti o persone che all’improvviso maturano la scelta di voler partecipare a una messa secondo il rito preconciliare». Interventi tutti pervasi da una malcelata avversione alla liberalizzazione voluta dal Pontefice, che tendono a restringerla preventivamente. Molti si augurano che lo stesso impegno sia ora messo in atto dai vescovi quando si tratta di contrastare abusi liturgici, sciatterie e insensate creatività che spesso hanno trasformato «la messa in show», come scrisse l’allora cardinale Ratzinger.

QUELLI CHE... NOI NO
Il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano (che pure aveva concesso dal 1988 una celebrazione domenicale in rito ambrosiano antico), a fine luglio aveva annunciato che lui non avrebbe usato il vecchio rito, ricordando «quel senso di chiuso, che emanava dall’insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora lo si viveva». Poi è arrivata la decisione della diocesi, oggi guidata dal cardinale Tettamanzi: il Motu proprio non si applica per il rito ambrosiano. Decisione che rispetta alla lettera la legge (nel Motu proprio non si cita il rito ambrosiano), ma che appare a tutt’oggi come la più clamorosa presa di distanze dall’intenzione liberalizzatrice del Pontefice. E per le parrocchie della diocesi di Milano dove vige il rito romano, un comunicato mette già le mani avanti affermando che non «risultano esistere gruppi stabili di fedeli per i quali potrebbero essere opportuni passi di riconciliazione».

QUELLI CHE... SCRIVONO
Già due le pubblicazioni sul tema: il primo è un libricino del liturgista Manlio Sodi, sottilmente contrario all’iniziativa papale. Il secondo è invece favorevolissimo e risponde a tutte le critiche: lo ha scritto Pietro Siffi, e s’intitola «La messa di San Pio V» (Marietti), in libreria tra pochi giorni.
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