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Churchill contro l'Islam: "È pericoloso per l'uomo come la rabbia per i cani"

In uno scritto di inizio secolo, lo statista britannico attaccava la religione dei musulmani: "Se non ci fosse la Cristianità, la civilità occidentale collasserebbe"

Churchill contro l'Islam: "È pericoloso per l'uomo come la rabbia per i cani"

"L'Islam? Per l'uomo è pericoloso quanto la rabbia per il cane": a dirlo fu un uomo tra i più celebrati genii politici e militari del XX secolo, Winston Churchill.

Poco più di cent'anni fa il maggiore statista britannico del secolo scriveva, sull'Islam, parole talmente violente da venire autocensurate per tutti i decenni successivi. Era il 1899, e nella prima edizione della sua relazione della guerra tra anglo-egiziani e Sudan Mahdista ("The River War") i toni del futuro primo ministro di Sua Maestà britannica non potevano essere più espliciti - né più denigratorii: "Quale maledizione si abbatte sui Maomettani! Oltre alla frenesia fanatica, che è pericolosa nell'uomo quanto la rabbia lo è per il cane, vige qui un'apatia fatalistica e timorosa. Abitudini sconsiderate, sistemi agricoli trascurati... tutto questo vige dove vi sia presenza o governo dei seguaci di Maometto. Una sensualità depravata priva la loro vita di ogni grazia e raffinatezza", scriveva Churchill.

Certo, concedeva, i musulmani "possono diventare splendidi soldati per la regina: a migliaia hanno dimostrato di saper morire. Ma - concludeva - l'influenza della religione ne paralizza ogni progresso sociale." Insomma, per Churchill l'Islam "è una religione di proselitismo militante, ma è anche la più grande forza retrograda al mondo. Se non fosse per la Cristianità, potenziata dalle armi della scienza - proseguiva lo statista - la civiltà dell'Europa moderna crollerebbe, proprio come è crollato a suo tempo l'Impero romano."

Parole molto nette. Tanto da venire censurate da ogni edizione successiva delle opere di Churchill e giudicate eccessive dal loro stesso autore: un'omissione che però non è sfuggita all'occhio vigile dell'inviato dell'Independent Robert Fisk, che nell'edizione di ieri del foglio britannico le ha riportate alla luce dal buio degli archivi.

D'altro canto che il politically correct non fosse nelle corde del vincitore della Seconda guerra mondiale è cosa nota: tuttavia, nella retorica per le celebrazioni del cinquantenario della morte (che è caduto il 24 gennaio), qualcuno, forse, aveva preferito dimenticarlo.

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