Cronaca giudiziaria

I 7 teoremi che hanno liberato la nave Ong: il pericoloso precedente

L'appunto, ribadito, della guardia costiera armata, la delegittimazione della Libia e l'istituzionalizzazione della Ong: così il giudice ha creato l'ombrello per le organizzazioni dei migranti

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Il giudice Antonio Albenzio, della sezione civile del Tribunale di Crotone, ha confermato la sospensione del provvedimento di fermo amministrativo al quale era stata sottoposta la nave della Ong tedesca Humanity 1. Pertanto, il provvedimento è stato definitivamente annullato con un dispositivo che ha fatto esultare le Ong, perché rappresenta un precedente rischioso. Di fatto, il giudice ha sconfessato l’autorità libica nelle acque SAR di sua competenza, legittimando le navi Ong come uniche imbarcazioni titolate a compiere interventi di recupero di migranti.

Il giudice spiega di aver effettuato il ragionamento che ha poi portato all’annullamento basandosi sulle convenzioni internazionali e nel suo dispositivo cita, tra le altre cose, la Convenzione SAR ma di fatto non riconosce la Libia come organismo operante in ambito SAR. La zona “search and rescue” del Paese nordafricano esiste, è riconosciuta dall’IMO (International Maritime Organization), un istituto delle Nazioni Unite. Ma secondo il giudice, essendo la Libia un Paese “non sicuro” a fronte delle violazioni dei diritti umani registrate dalle organizzazioni umanitarie e dall’Alta Corte dell’Onu. E questo, per il giudice, è sufficiente “per escludere l’esistenza di qualsivoglia qualificazione delle operazioni effettuate dalla guardia costiera libica con personale armato […] come operazioni di salvataggio”.

E ancora, nel dispositivo si legge che, in riferimento all’evento in questione “non può ritenersi che l’attività perpetrata dalla guardia costiera libica sia qualificabile come attività di soccorso” ed è documentato che “il personale libico fosse armato e che, in occasione di tali attività, avesse altresì esploso colpi di arma da fuoco”. Il giudice sembra stupirsi del fatto che la guardia costiera libica, un corpo militare a tutti gli effetti, effettui le sue operazioni con personale dotato di un’arma. La circostanza del personale armato a bordo della motovedetta viene ripetuta in diverse occasioni e in un passaggio “si ribadisce” che “solo il personale libico era armato e ha esploso colpi di arma da fuoco intimidatori”. Il fatto che nessun esponente della Ong fosse provvisto di un’arma dovrebbe essere scontato, e anche rassicurante, visto che nessuno di loro appartiene a un corpo militare, ed è lo stesso giudice a parlare di colpi intimidatori, quindi non effettuati per cagionare danno a cose o persone.

Dal dispositivo con il quale il giudice giustifica l’atto di annullamento del fermo amministrativo della nave Ong tedesca emerge con forza la delegittimazione della Libia come autorità competente in area SAR. In un passaggio eleva Humanity 1, che operava in acque SAR libiche a “unica imbarcazione a intervenire per adempiere al dovere di soccorso in mare”, quindi, “nessuna condotta ostativa è riscontrabile nei confronti della Ong”. Il giudice scrive che la Libia non aveva alcun diritto di dare ordini di allontanamento e nel caso specifico sostiene che quando la Libia è intervenuta, la Ong era già operativa e quindi aveva la “precedenza” nel salvataggio. “Non può ritenersi che l’attività perpetrata dalla guardia costiera libica sia qualificabile come attività di soccorso per le modalità stesse con cui tale attività è stata esplicata”, scrive il giudice.

Infine, nel dispositivo si legge che “laddove il provvedimento di fermo dell’imbarcazione, laddove non venisse confermato il provvedimento di sospensione inaudita altera parte (il primo emesso, ndr), è destinato a perpetrare i propri effetti per almeno un’altra settimana, essendosi interrotti i termini relativi alla sua scadenza naturale”. E questo, prosegue il firmatario del documento, comporterebbe “il blocco di una imbarcazione naturalmente destinata ad attività di soccorso marittimo nella zona oggetto del presente giudizio con conseguente rischio di compromissione dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nelle tratte in questione”.

È evidente che sia stato fornito alle Ong un ombrello giuridico pressoché totale per operare al di sopra di qualunque norma.

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