Cronaca giudiziaria

"Auschwitzland" non è reato. Il giudice la assolve per apologia al fascismo

Il tribunale di Forlì ha assolto nelle scorse ore Selene Ticchi, l'ex-militante di Forza Nuova finita a processo per aver indossato una t-shirt con la scritta "Auschwitzland" durante un corteo svoltosi nel 2018 a Predappio. Secondo il giudice, il fatto non costituisce reato

La t-shirt indossata da Selene Ticchi
La t-shirt indossata da Selene Ticchi

Era finita a processo dopo essersi presentata ad un raduno svoltosi a Predappio ormai più di quattro anni fa, esibendo una t-shirt nera con la scritta "Auschwitzland" ben visibile. Nelle scorse ore però, il giudice del tribunale di Forlì l'ha assolta, in quanto il fatto non costituisce reato. Sembra in teoria ormai prossima alla chiusura definitiva l'odissea giudiziaria di Selene Ticchi, l'ex-militante di Forza Nuova (adesso nel Movimento nazionale rete dei patrioti) finita nell'occhio del ciclone il 28 ottobre del 2018. Quel giorno, la candidata a sindaco di Budrio (un paese dell'hinterland di Bologna, ndr) alle precedenti elezioni comunali per Aurora Italiana, prese parte ad un corteo che ricordava Benito Mussolini. Indossava per l'occasione una maglietta con al centro un'immagine mutuata del logo della Disney, che però al posto del "castello disneyano" riproduceva in maniera stilizzata il campo di concentramento di Auschwitz.

E salì per questo all'attenzione delle cronache nazionali: ai cronisti presenti sul posto avrebbe fatto presente come si trattasse di humor nero e tanto bastò all'epoca per far sì che Francesco Laforgia, senatore di Leu, presentasse in Parlamento un'interrogazione sull'accaduto all'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini. Nei giorni successivi all'episodio, Forza Nuova la sospese in via precauzionale e fu quindi rinviata a giudizio con l'accusa di violazione dell'articolo 2 della legge Mancino. Si tratta in buona sostanza dell'atto legislativo del 1993 che sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Il pubblico ministero del tribunale forlivese aveva quindi chiesto per lei una condanna a nove mesi di reclusione, oltre al pagamento di una multa ammontante a 900 euro.

E l'Anpi aveva deciso di costituirsi parte civile, insieme all'erede di un deportato nel lager situato nell'Europa dell'Est. La linea difensiva dell'imputata (difesa dal marito avvocato) si è incentrata sulla posizione che vedeva la t-shirt non come un insulto ai deportati ebrei (e non solo) nel campo di sterminio, ma piuttosto come un segnale di protesta «contro chi lucra su luoghi dove sono avvenute tragedie, non solo Auschwitz». E il magistrato ha evidentemente accolto le istanze della difesa, pronunciandosi per l'assoluzione. Le motivazioni del verdetto verranno quindi rese note nei prossimi giorni.

"Siamo soddisfatti e felici - il commento della diretta interessata all'uscita dall'aula del tribunale, riportato dall'Ansa - adesso aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza".

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