Cronaca giudiziaria

Maglietta "Auschwitzland", contestato il reato "sbagliato": processo azzerato

La Cassazione ha annullato la sentenza di primo grado relativa al "caso" di Selene Ticchi, assolta dall'accusa di aver violato la legge Mancino indossando una t-shirt con la scritta "Auschwitzland": il pm avrebbe dovuto contestarle un reato diverso. E la procura di Forlì dovrà adesso decidere se aprire un nuovo fascicolo o meno

La t-shirt "Auschwitzland"
La t-shirt "Auschwitzland"

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Il pubblico ministero non avrebbe individuato correttamente il reato da contestare all'imputata, a seguito dell'episodio del quale si era resa protagonista. E su queste basi, la sentenza di primo grado è perciò stata annullata, senza rinvio: adesso dovrà essere la procura di Forlì a decidere se aprire eventualmente un nuovo fascicolo e ripartire daccapo oppure no. Lo ha stabilito nelle scorse ore la Cassazione, esprimendosi così sul "caso" che riguarda Selene Ticchi, l'ex-militante di Forza Nuova finita nell'occhio del ciclone il 28 ottobre del 2018. Quel giorno, la candidata a sindaco di Budrio (un paese dell'hinterland di Bologna, ndr) alle precedenti elezioni comunali per Aurora Italiana, prese parte ad un corteo a Predappio che ricordava Benito Mussolini. E indossava per l'occasione una maglietta con al centro un'immagine mutuata del logo della Disney, che al posto del "castello disneyano" riproduceva in maniera stilizzata il campo di concentramento di Auschwitz con la scritta "Auschwitzland".

La donna, finita poi a processo con l'accusa di aver violato la legge Mancino (ovvero l'atto legislativo del 1993 che sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali) era stata assolta lo scorso gennaio in quanto il quadro accusatorio emerso nei suoi confronti venne giudicato lacunoso. Il pubblico ministero aveva chiesto per lei una condanna a nove mesi di reclusione e una sanzione da 900 euro, ma secondo il tribunale di Forlì non erano emerse prove circa la "portata distintiva" del logo Auschwitzland e sul fatto che quest'ultimo possa essere riferibile ad un'organizzazione che nell'attualità persegue finalità di incitazione all'odio e alla discriminazione.

Lacune che hanno come detto portato all'assoluzione della donna. Stando a quel che riporta il quotidiano Il Resto del Carlino però, la Suprema Corte ritiene a quanto sembra che quella di Ticchi non fu un'incitazione alla discriminazione tramite ostentazione di simboli particolari (in violazione dunque dell’articolo 2 della legge Mancino) come ipotizzato dalla procura. Si sarebbe piuttosto trattato di un potenziale incitamento fondato sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah (come da ultimo comma dell’articolo 604 bis del codice penale). E su queste basi, il processo è di fatto stato azzerato: tutto da rifare, ma senza un nuovo rinvio a giudizio per la donna.

Dovrà nell'eventualità essere la procura forlivese a decidere se aprire una nuova inchiesta (ripartendo da zero) o meno.

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