Cronaca locale

"Io, massacrata perché non volevo rubare". Il racconto choc della borseggiatrice

Ha deciso di cambiare vita e per questo i protettori l'hanno massacrata con calci e pugni. Ecco il racconto della borseggiatrice picchiata in metro e costretta a un parto d'urgenza e un intervento al volto

"Io, massacrata perché non volevo rubare". Il racconto choc della borseggiatrice

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I suoi protettori l'hanno massacrata senza pietà con calci e pugni perché aveva deciso di cambiare vita, non ne voleva più sapere di rubare e continuare a essere una borseggiatrice: nonostante fosse incinta, la 39enne croata Meri Secic è stata brutalmente picchiata nella metropolitana di Roma. Per fortuna è riuscita a mettere in salvo il piccolo con un parto cesareo d'urgenza all'Umberto I della Capitale dove rimane ricoverata in pessime condizioni: i dolori sono ovunque, non si può muovere e il volto è irriconoscibile anche se è stata sopposta a un necessario intervento maxillo facciale.

Le parole della borseggiatrice

"Hanno mandato un gruppo di picchiatori a massacrarmi perché gli avevo detto che non volevo rubare più. Mi hanno aggredita mentre ero in metro, usando il tirapugni e colpendomi anche con le bottiglie", racconta al Messaggero parlando di chi doveva proteggerla e che, invece, ha sfogato contro di lei tutta la furia animalesca. In quei momenti di ordinaria follia il pensiero non era tanto alla sua vita ma a quella che portava dentro al grembo, ecco perché la donna croata ha messo le mani verso la pancia lasciando il volto scoperto alle offese dei suoi aggressori. "Era l’unico punto che potevano colpire - racconta - Hanno continuato per diversi minuti: calci, pugni, sputi finché non siamo arrivati alla fermata Termini. A quel punto si sono aperte le porte e loro, dopo un’altra serie di botte, sono scappati via".

La denuncia degli aggressori

A questo punto la giustizia dovrà fare il suo corso: la 39enne ha denunciato tutto alla polizia conoscendo perfettamente volti, nomi e cognomi sia dei mandanti che degli esecutori. "Devono pagare per quello che hanno fatto", sottolinea al quotidiano. Fin quando rimarrà in ospedale, è sicuro, lei e il piccolo saranno al sicuro da nuove aggressioni in attesa che i delinquenti possano essere catturati e pagare per quello che hanno fatto.

La scelta di una nuova vita

Come detto, tutto nasce dalla volontà della borseggiatrice di finire con quel tipo di vita, decisione presa giò da molto tempo: i cinque anni in carcere l'hanno fatta riflettere fino alla decisione definitiva. "Mi sono serviti a capire che un altro tipo di vita è possibile, che si possono guadagnare i soldi anche lavorando e non solo rubando. E così, quando la scorsa estate sono uscita di prigione, ho deciso di ribellarmi e di dire basta alla mia vecchia vita". Sin da giovane (era ancora alle scuole medie), aveva iniziato a rubare: il padre morto e l'esaurimento della madre hanno dato la spinta a quel tipo di vita.

"Non sono nata in un campo rom, ma da una famiglia croata che poi si è trasferita in Italia. Vivevo con i miei a Firenze. Ma all’improvviso mi sono trovata sola e non sapevo cosa fare per vivere. Così ho iniziato con i primi furti e un giorno sono stata avvicinata da un gruppo di zingari". Da quel momento è stata quella la nuova famiglia: il piccolo partorito d'urgenza al Policlinico Gemelli non è altro che il 13° figlio. "Sì, mi sono anche fidanzata e ho avuto 12 figli. Da Firenze sono andata in un campo a Roma e rubavo per guadagnarmi da vivere". Alla precisa domanda di che fine abbiano fatto gli altri dodici, la donna ha risposto che alcuni sono già grandi e vivono in autonomia: a stare vicino è la prima figlia "che è anche venuta in ospedale per portarmi i vestitini per il fratello. Ma non voglio coinvolgerla. Deve restare fuori da questa storia e dalla mia vecchia vita...

".

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