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Le libertà negate

Uno dei metodi di gestione del tempo più studiati da chi si occupa di produttività è la cosiddetta "matrice di Eisenhower"

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Uno dei metodi di gestione del tempo più studiati da chi si occupa di produttività è la cosiddetta «matrice di Eisenhower», che muove da un convincimento del comandante delle Forze Alleate durante la Seconda guerra mondiale e poi 34esimo presidente americano: «ciò che è importante è raramente urgente e ciò che è urgente è raramente importante». Ecco, passando dallo sbarco in Normandia al leggermente meno epico dibattito di questi giorni sulle libertà negate, viene da parafrasare il principio: in Italia ciò che è davvero pericoloso raramente indigna, mentre ciò che indigna è raramente pericoloso.

Nella fattispecie, la cancellazione dell'intervento antigovernativo di Antonio Scurati dalla scaletta di un programma Rai da parte di qualche zelante funzionario ha suscitato una eco enorme. Si sostiene che questa sia la pistola fumante, la prova che in Italia c'è un regime liberticida che non consente a un intellettuale di dire che la premier è neofascista. Il che appartiene al sempre legittimo campo delle opinioni. Al campo della realtà incontrovertibile appartiene invece il fatto che Scurati ha avuto modo di dire la sua e di rincarare la dose di critica alla premier su palchi e pagine di giornali, che quel testo verrà letto in ogni piazza italiana in occasione del 25 Aprile (sarebbe divertente che l'autore chiedesse i diritti d'autore a tutti...) e che la conduttrice della trasmissione «imbavagliata» ha guadagnato audience e ieri ha presentato il suo romanzo a un nutrito pubblico. Indignazione: tanta. Pericolo reale di limitazione della libertà di espressione: poco.

Parallelamente, ieri a Torino gli antagonisti hanno cercato di interrompere non un comizio del Ku Klux Klan, ma la temibile «Conferenza degli addetti scientifici e spaziali e degli esperti agricoli». Lo hanno fatto non per evitare la propalazione di teorie odiose e moralmente inaccettabili, ma solo per impedire l'intervento dei ministri Tajani, Bernini, Lollobrigida e Pichetto Fratin. Con il corollario di sette agenti feriti mentre svolgevano il loro compito, ovvero consentire ad autorità - ma anche docenti o semplici cittadini - di parlare in pubblico. Indignazione: zero. Effettiva pericolosità dei centri sociali che cercano di impedire una conferenza menando dei poliziotti... beh, forse un po' più alta.

Molti hanno commentato che un'Italia in cui Scurati non può criticare la premier sulla tv pubblica somiglia ormai all'Ungheria di Orbán. Di sicuro dubitiamo che quel discorso fosse una minaccia e siamo sicuri che la cancellazione sia stata un errore da ogni punto di vista. Forse, però, un'Italia in cui non fanno notizia e non preoccupano 7 poliziotti feriti per consentire a quattro ministri di parlare di scienza e agricoltura, dopo che altri 27 erano stati feriti per consentire al Senato accademico della Sapienza di discutere di Medio Oriente, somiglia a qualcosa di peggio.

Somiglia a un Paese che ha dimenticato la differenza fra chiacchiere e violenza, che il diritto di parola non ha colore e che la nostra libertà, prima di fermarsi «dove inizia la libertà altrui», ha l'obbligo di fermarsi dove inizia il Codice penale.

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