Gioco di spie

Il ritorno delle spie bulgare: il gioco oscuro che è duro a morire

Spie e segreti non appartengono alla Guerra Fredda: sono ancora protagoniste dei nostri tempi e continuano a "servire" in nome di ideologia e denaro. Le due cose che dall'alba dei tempi stimolano sofisticati stratagemmi e trame intricate

Il ritorno delle spie bulgare: il gioco oscuro che è duro a morire

Spia, colui o colei che attraverso stratagemmi che prevedono l’inganno, la dissimulazione e la falsa identità si impossessa d’informazioni coperte da segreti che appartengono a rivali o nemici, per trarne vantaggi militari, politici o talvolta economici. Sia per interesse personale che per quello del proprio Paese o mandante. Questa è la definizione, a grandissime linee, di un’attività svolta da quando l’uomo ha inventato la guerra. E che ha sempre influito, nelle sorti di essa, più della guerra stessa.

Molti di noi, scrittori o lettori, abbiamo imparato a conoscere le spie attraverso romanzi e film; e quando parliamo di spy story, pensiamo subito all’eterno confronto da Guerra fredda tra Cia e Kgb, o agli 007 britannici; pensando spesso che oramai sia storia passata. La verità invece è ben diversa: le spie oggi sono più attive che mai, e spesso operano in teatri e territori defilati, come gli stati baltici e quelli balcanici: ex satelliti di Mosca che ora hanno accesso ai segreti militari che riguardano anche Washington, dal momento che sono entrati a far parte della Nato.

Ecco perché occupandoci di spionaggio nell'attualità, torniamo a parlare della Bulgaria - vecchia alleata di Mosca quale firmataria del Patto di Varsavia - ora diventata oggetto d’interesse di una rete di spie - o meglio di talpe - che conoscendo i trucchi del mestiere operavano ancora, a livello “amatoriale”, per fornire al Cremlino informazioni militari trafugate dai palazzi governativi. Soprattutto dal Ministero della Difesa bulgaro. Negli interessi dei sei agenti “in pensione”, coordinati dall’ex colonnello settantenne Ivan Ivliev, c’erano quanti più segreti potessero essere “rivelati”: dai documenti che riguardavano proprio la Nato, gli Stati Uniti, l’Ucraina, la Bielorussia alle presenze di intelligence straniere in loco: agenti della Cia, dell’Nsa e delle altre divisioni di spionaggio internazionale. Del resto, se conosci il profilo di un operativo a Sofia, domani lo riconosci anche se viene distaccato a Istanbul o a Berlino se nessuno brucia la sua copertura. E troppe sono le possibilità di utilizzare una “spia” avversaria a proprio vantaggio.

Così la rete di spie gestita da “The Resident” - nome in codice scelto per l’ex colonnello in pensione - ha passato sotto compenso e per anni informazioni e resoconti all’ambasciata russa di Sofia. Dove alcuni diplomatici conniventi - forse agenti in auge e sotto copertura - li inviavano direttamente a Mosca. Questo almeno fino alle scorse settimane, quando il controspionaggio bulgaro ha scoperto e arrestato le sei talpe altolocate - compresa la moglie dell’ex colonnello, che si recava regolarmente in ambasciata per consegnare plichi di documenti “classificati” e ritirare il pagamento in dollari.

La combriccola di nostalgici russofili, tutti bulgari che hanno vissuto all’ombra della cortina di ferro e sono stati addestrati a praticare lo spionaggio dai sovietici del Gru (il servizio d’intelligence dell’Esercito russo) e del ben più noto Kgb (oggi Fsb, ndr), contava tutti anziani signori ben inseriti nei palazzi del potere. Uno di loro partecipava alla stesura del bilancio militare, dunque conosceva nel dettaglio, probabilmente, informazioni sugli armamenti acquisiti e in via di acquisizione. Un altro era attaché militare impegnato presso la cancelleria dei documenti segreti per il parlamento, mentre un terzo era addirittura tra i responsabili delle “strategie per contrastare le interferenze di Mosca” - che mantiene ancora uno stretto rapporto con il Paese membro dell’Unione Europea.

Ciò che ha stupito, o più precisamente preoccupato, l’establishment bulgaro e i tutti partner esteri è stata non solo la facilità con cui la rete del “residente” operava senza troppi accorgimenti, ma la scoraggiante prova che ai piani alti dei nuovi alleati Nato abbiano libero accesso, e per giunta pieni poteri, elementi addestrati dagli specialisti della Lubjanka ai tempi di Bréžnev. Uomini e donne tanto fedeli a Mosca da essersi occupati, in passato, dei “lavori sporchi” di fronte ai quali anche gli agenti russi più talentuosi dovevano passare la mano. Il rischio di essere svelati era troppo alto e le conseguenze dirette avrebbero potuto innescare escalation pericolose. Due esempi emblematici, riportati dall’esperta di questioni russe Anna Zafesova, sono l'attentato a Giovanni Paolo II da parte del “lupo grigio” Alì Ağca, avvenuto secondo molti su mandato dei servizi segreti bulgari che aveva tratto ispirazione dai vertici sovietici; e l’omicidio dello scrittore dissidente Georgiy Markov, assassinato a Londra con un ombrello modificato per sparare pallini contenenti la Ricina - potente e letale citossina. Un’arma mai ritrovata, a dire il vero, ma degna della più fervida fantasia di uno Ian Fleming in grande spolvero.

Questo scandalo ha dato un punto di vista inquietante riguardo la possibilità di altre e ulteriori infiltrazioni che possono verificarsi ad alto livello in potenze ora fedeli alla Nato, ma un tempo amiche del Cremlino.

La volontà di Mosca di entrare in possesso dei segreti dei suoi “avversari teorici”, del resto, è sotto gli occhi di tutti e da diverso tempo. Lo dimostra, tra le altre, l’ignominiosa condotta dell’ufficiale di Marina che è stato intercettato dagli agenti del Ros mentre cedeva sotto compenso informazioni a un diplomatico russo in missione a Roma. La Bulgaria, come l’Italia, ha promesso come da consuetudine, dopo gli arresti, una serie di espulsioni di diplomatici russi: su modello americano e britannico. Potenze che si trovano regolarmente al centro di scandali di spionaggio, talvolta orchestrati da vecchi doppiogiochisti ancora intenzionati a mettere a frutto i vecchi trucchi del mestiere. Perché le spie non vanno mai in pensione.

Anzi spesso, nutrendo fino all’ultimo una profonda convinzione nei loro vecchi ideali, preferiscono continuare il “gioco”. Sia perché è un ottimo modo per sbarcare il lunario, sia perché si annoiano; sia perché non sanno rinunciare al brivido. In attesa del loro epitaffio.

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