Guerra in Ucraina

18 miliardi "prigionieri" in Russia: la risposta alle sanzioni colpisce l'Occidente

18 miliardi di profitti occidentali bloccati in Russia. Vediamo perchè Mosca li tiene sotto scacco

18 miliardi di utili "prigionieri" in Russia: la risposta alle sanzioni colpisce l'Occidente

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18 miliardi di utili "prigionieri" in Russia: la risposta alle sanzioni colpisce l'Occidente

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Le aziende occidentali ancora attive in Russia e appartenenti ai Paesi considerati "ostili" dal Cremlino dopo lo scoppio della guerra in Ucraina hanno riportato oltre il 90% del totale degli utili realizzati da imprese straniere nel Paese, ma queste risorse non possono essere riportate in Europa e in Nord America per via delle controsanzioni di Mosca.

Lo riporta il Financial Times sottolineando in un'inchiesta i dati elaborati dalla Kyiv School of Economics: le aziende occidentali hanno generato 18 miliardi di dollari di profitti in Russia nel 2022 e i principali settori di attività ove permangono interessi dei Paesi ritenuti ostili da Mosca sono stati i beni di consumo, i servizi finanziari e l'energia. Le aziende che non si sono ritirate dalla Russia o hanno visto i loro beni svalutati o espropriati, nota il Ft, vedono i loro risultati economici "prigionieri" delle mosse di Mosca.

Gli utili locali delle aziende in questione sono stati bloccati in Russia dall'imposizione, lo scorso anno, del divieto di pagamento dei dividendi alle imprese provenienti da paesi "ostili". Questa misura ha avuto un impatto significativo sulle aziende occidentali, che hanno visto i loro profitti e il valore delle loro attività in Russia diminuire. La situazione ha creato un dilemma per le aziende occidentali che operano in Russia. Molte hanno cercato di vendere le loro attività, ma qualsiasi accordo richiede l'approvazione di Mosca ed è soggetto a forti sconti sui prezzi. Operare sul posto significa continuare a produrre per il Paese di Vladimir Putin e la sua "economia di guerra". Ma anche evitare crolli di valore immobilizzato e giri d'affari che si rischia di perdere forse per sempre.

Alcune società, come British American Tobacco, Enel, Ford, Renault, McDonald’s, Ikea, Shell Heineken e Volvo, hanno annunciato accordi per trasferire le loro attività nel paese a proprietari locali o hanno lasciato direttamente il Paese. Un gruppo di ricerca dell'Università di Yale conta in oltre mille unità le aziende che hanno totalmente deciso di lasciare la Russia.

Altre, come nota il Ft, non hanno voluto perdere il business: "Tra le società di origine “ostile” che rimangono attive in Russia, la banca austriaca Raiffeisen ha riportato i maggiori utili del paese nel 2022, pari a 2 miliardi di dollari, secondo i dati della Kse. I gruppi statunitensi Philip Morris e PepsiCo hanno guadagnato rispettivamente 775 e 718 milioni di dollari. I profitti russi di 621 milioni di dollari del produttore di camion svedese Scania nel 2022 lo hanno reso il produttore di autocarri più redditizio tra le aziende che da allora si sono ritirate dal paese". I quattro gruppi assommano 4,1 miliardi di dollari di utili, poco meno del 23% del totale dei Paesi "ostili". Molte aziende hanno poi sospeso le attività o ridotto gli investimenti, ma rimangono attive. Ad esempio, per l'Italia Confindustria Russia segnala che solo il 10% degli operatori italiani attivi nel Paese prima dell'invasione dell'Ucraina ha cessato le attività.

Certamente, però, il congelamento dei dividendi crea un grave problema alle aziende occidentali. In primo luogo, blocca il consolidamento dei bilanci e il trasferimento delle risorse per aumentare gli utili complessivi. In secondo luogo, misure del genere contribuiscono a un vero e proprio incentivo alla pressione sulle imprese perché difendano la loro presenza nel Paese mantenendo viva la minaccia di esproprio e, al contempo, incentivando investimenti produttivi che, chiaramente, contribuiscono al benessere della Federazione Russa. Terzo, e decisivo, punto: tenere sotto scacco gli utili occidentali in Russia evita che Ue, Regno Unito, Canada, Usa e alleati spingano sul sequestro definitivo delle riserve russe bloccate all'estero, che più di un osservatore propone di destinare all'Ucraina per la ricostruzione.

Contribuendo nel frattempo a difendere il cambio del rublo, in profonda sofferenza. La conseguenza? 100 miliardi di euro di svalutazione dei capitali delle aziende europee investiti in Russia da un lato, un blocco ulteriore della scarsa fiducia reciproca tra Mosca e l'Occidente dall'altro. Sono i rivoli della guerra economica che continua, passo dopo passo. Di recente si è aggiunta la rottura russa degli accordi sulla doppia tassazione. Un passo dopo l'altro l'integrazione russo-occidentale frana.

E manca totalmente la volontà politica di sistemare una macchina a lungo proficua per tutti, prima di esser travolta dall'ineluttabilità delle rivalità geopolitiche.

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