Economia

L'Fmi: "Il mondo rischia la recessione"

Crescita del Pil rivista al 3,2%. Ma gli Usa "truccano" le regole per calcolare la crisi

L'Fmi: "Il mondo rischia la recessione"

Nell'aggiornamento del World economic outlook, Il Fondo monetario imputa alla triade «inflazione-guerra-gas» gli aumentati rischi di una recessione. Anche se per ora le previsioni indicano una crescita mondiale del 3,2% quest'anno, ben distante dal +6,1% del 2012 ma appena di 0,4 punti al di sotto delle stime di aprile. Il lieve deterioramento potrebbe ingenerare dei dubbi sulle possibilità di una contrazione del Pil globale e sui pericoli di disordini sociali legati all'aumento dei prezzi del cibo e dell'energia. Tanto più che l'organizzazione di Washington ha appena limato di qualche decimale le aspettative su Eurolandia (+2,6% a fine dicembre, lo 0,2% in meno della scorsa primavera) e attribuisce all'Italia uno slancio perfino superiore al previsto (+3% a fronte del +2,3% stimato circa tre mesi fa), nonostante la critica situazione politica, grazie «alle prospettive migliori per il turismo e l'attività industriale». I nodi potrebbero però venire al pettine nel 2023, quando l'espansione economica dovrebbe fermarsi a un +0,7%, un punto percentuale in meno rispetto alle previsioni precedenti. Una frenata inevitabile, legata agli alti prezzi dell'energia cui si andrà a sommare la politica monetaria più restrittiva da parte della Bce. Al momento, tuttavia, la ripresa pare avere perso energia soprattutto in Germania, con una chance su quattro di scivolare in recessione (+1,2% quest'anno), e in Francia (+2,3%).

Fuori dal Vecchio Continente, l'Fmi ha rivisto al ribasso di oltre un punto le stime del Pil cinese al 3,3% quest'anno, a causa degli ulteriori lockdown e dell'aggravarsi della crisi immobiliare. Si tratta del livello di crescita più lento in oltre quattro decenni, escludendo la pandemia. Ma a pesare sull'outlook globale è la crescita Usa, che scenderà al 2,3% a fine '22 a causa della riduzione del potere d'acquisto delle famiglie e dell'inasprimento della politica monetaria. Oggi, quando la Federal Reserve potrebbe optare per un secondo rialzo consecutivo dei tassi dello 0,75 per cento. Meno probabile, invece, una stretta di un punto secco. Il capo della banca centrale americana, Jerome Powell, intende continuare a usare le maniere forti per contrastare un'inflazione che ha raggiunto il 9,1%, ma si muove sul filo del rasoio.

L'America ha già subito una contrazione del Pil nel primo trimestre dell'1,6% ed è con qualche apprensione che i mercati aspettano l'annuncio, previsto domani, sull'andamento dell'economia fra aprile e giugno. Un altro segno negativo e sarebbe recessione tecnica. Anche se, fiutando l'aria che tira, la Casa Bianca intende cambiare il significato di recessione. Per valutare lo stato di salute del Paese, è ora «meglio uno sguardo olistico ai dati, inclusi il mercato del lavoro, la spesa dei consumatori e delle imprese, la produzione industriale e i redditi. Sulla base di questi dati, è improbabile che il calo del Pil nel primo trimestre di quest'anno, anche se seguito da un altro calo del Pil nel secondo trimestre, indichi una recessione».

Corre dunque l'obbligo ai professori del National Bureau of Economic Research, da cui sono transitati 18 Nobel, tornare sui banchi di scuola: c'è Biden che insegna macroeconomia.

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