Guerra in Israele

Il pressing degli Usa e la rabbia degli arabi: "Bibi ha poco tempo per sradicare Hamas"

Washington vuole una rapida soluzione del conflitto: "Troppi palestinesi morti, misure insufficienti". Gli alert lanciati dalle ambasciate in Medio Oriente

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Ora Bibi Netanyahu è a un bivio. Deve decidere se fermarsi o continuare a combattere fino a quando non avrà mantenuto la promessa di eliminare Hamas dalla Striscia. Ben sapendo che portando la guerra alle estreme conseguenze rischierà di perdere l'appoggio dell'alleato statunitense. A definire le linee rosse di quel bivio ci ha già pensato Washington. Stando a quanto rivela il New York Times, spesso usato come ventriloquo dell'Amministrazione Biden, la Casa Bianca starebbe moltiplicando gli inviti ad accelerare le operazioni e a definire una soluzione politica al conflitto che permetta una rapida uscita dell'esercito israeliano dalla Striscia di Gaza subito dopo il termine dei combattimenti.

L'Amministrazione statunitense teme, infatti, che le sempre più ingenti perdite di civili generino reazioni fuori controllo nelle opinioni pubbliche dei paesi arabi mettendo in difficoltà i governi alleati di Washington. Sull'argomento interviene anche la Cnn ricordando i «duri avvertimenti» diramati nelle ultime ore dalle principali ambasciate statunitensi in Medio Oriente. Garantendo un prolungato sostegno alla campagna militare israeliana - scrivono i responsabili di quelle sedi - Washington rischia di perdere il consenso delle opinioni pubbliche arabe «per almeno una generazione». E a confermare i timori dei diplomatici s'aggiunge il monito di Antony Blinken: «Finora troppi palestinesi sono stati uccisi, troppi hanno sofferto in queste ultime settimane», dichiara da Nuova Delhi il Segretario di Stato sottolineando che dovrebbe essere fatto tutto il possibile per prevenire danni ai civili e c'è ancora molto da fare per l'assistenza di cui hanno bisogno. Anche perché - stando a quanto riferito ad una Commissione della Camera dalla diplomatica Barbara Leaf - il numero dei caduti civili sarebbe ormai ben «più elevato» dei 10mila citati dal ministero della Sanità di Hamas. Ma l'invito americano ad accelerare le operazioni e arrivare ad un cessate il fuoco non sembra destinato ad esser accolto. Ieri il premier Netanyahu ha ribadito che Israele «non accetterà un cessate il fuoco» e «continuerà a mantenere il controllo su Gaza anche dopo la guerra» aggiungendo di non voler passare il controllo della Striscia a «forze internazionali».

Del resto dal punto di vista israeliano la guerra è arrivata ad un punto cruciale. Un punto che potrebbe rivelarsi decisivo per l'eliminazione della leadership di Hamas. Proprio ieri Tsahal ha stretto il cerchio intorno allo Shifa Hospital, l'ospedale di Gaza considerato una sorta di dependance di Hamas attrezzata con profondi sotterranei in cui si celerebbero i bunker e le residenze dei capi dell'organizzazione. Tra questi secondo fonti israeliane vi potrebbe essere anche Yahya Sinwar, ovvero il numero uno dell'organizzazione terrorista nella Striscia. Quindi sospendere le operazioni o concedere pause umanitarie potrebbe consentire lo spostamento in altre zone del «capo dei capi» e regalare altro tempo prezioso al nemico.

Proprio per questo Israele avrebbe rinunciato alle trattative sugli ostaggi che prevedevano almeno due o tre giorni di cessate il fuoco per procedere all'eventuale liberazione di alcuni prigionieri. «Non c'è alcuna definizione di intese relative ad uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas», ha fatto sapere una fonte politica israeliana citata dalla televisione pubblica Kan.

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