Nazionale

Per Messina Denaro l'ultimo viaggio blindato e la sepoltura all'alba

Dopo l'autopsia, salma trasportata sul carro funebre verso Castelvetrano. La cerimonia solo coi familiari

Per Messina Denaro l'ultimo viaggio blindato e la sepoltura all'alba

Ascolta ora: "Per Messina Denaro l'ultimo viaggio blindato e la sepoltura all'alba"

Per Messina Denaro l'ultimo viaggio blindato e la sepoltura all'alba

00:00 / 00:00
100 %

L'autopsia per fugare ogni dubbio sulle cause della morte ed evitare che un giorno qualcuno possa dire che non è stato il cancro al colon a uccidere il boss della mafia trapanese Matteo Messina Denaro, ma che sia stato eliminato da chissà chi. Poi il lungo viaggio fino alla sua terra, Castelvetrano, dove è nato e dove ha trascorso come un fantasma parte della sua trentennale latitanza, protetto da una schiera di fidati fiancheggiatori, continuando a gestire il suo impero criminale.

«U' Siccu» è morto quasi nove mesi dopo la sua cattura e il suo paese si prepara ad accoglierne la salma, che sarà tumulata nella cappella di famiglia. Un paese diviso tra chi si sente in lutto per la scomparsa del boss e sussurra a mezza bocca parole di cordoglio, in un mix di paura e rispetto, e chi invece la vive come un sollievo, una liberazione da un concittadino ingombrante che ha condizionato la vita del territorio per troppi anni. Mentre anche sui social c'è chi lo rimpiange: «grande parrino», «uomo d'onore vero», «esempio di coraggio». Uno schiaffo per la stragrande dei cittadini onesti che domenica si ritroveranno in un sit-in organizzato nella villa comunale intitolata a Falcone e Borsellino dall'avvocato John Li Causi, che si è indignato dopo aver letto alcuni messaggi di condoglianze alla famiglia e di mitizzazione del padrino: «La maggioranza di noi e dei siciliani tutti non era e non è con la mafia». Per Massimo Russo, ex pm che ha lavorato al fianco di Borsellino alla Procura di Marsala e che conosce bene il territorio avendo coordinato le indagini sulla mafia trapanese da sostituto della Dda di Palermo, «con la morte di Messina Denaro è saltato il tappo»: «I cittadini non hanno più ragione d'avere paura. Ora, per l'intera provincia, è il tempo del riscatto». Al termine dell'autopsia, svolta tra misure di sicurezza rigidissime nell'obitorio dell'ospedale San Salvatore dell'Aquila, dove il capomafia era detenuto e ricoverato dall'inizio di agosto e dove è morto nella notte tra domenica e lunedì dopo aver scelto di essere solo idratato, la salma è stata dissequestrata ed è partita in serata per la Sicilia. Un lungo viaggio di oltre 11 ore via terra con il carro funebre scortato dal Gom, il gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria, per motivi di ordine pubblico. All'alba è in programma la tumulazione, in un camposanto blindato, alla presenza di pochi familiari, le sorelle Giovanna e Bice, il fratello Giovanni e la figlia da poco riconosciuta Lorenza. Non dovrebbe invece esserci la madre, invalida da anni. La questura di Trapani ha vietato i funerali pubblici (come è già avvenuto per Riina e Provenzano) e non ci sarà la benedizione della salma perché la Chiesa nega i funerali religiosi ai mafiosi.

Messina Denaro riposerà accanto al padre, Don Ciccio - morto da latitante e ricomparso solo per il suo funerale - dal quale aveva ereditato il ruolo di capomafia indiscusso del Trapanese, nella cappella di famiglia con la statua di un angelo in marmo bianco a fare da guardia. La stessa cappella che negli anni della latitanza gli investigatori avevano imbottito di microspie per aggirare le mille precauzioni dei familiari che evitavano di parlare in casa temendo di essere intercettati. Gli inquirenti avevano messo gli apparecchi elettronici al cimitero sperando che, sentendosi al sicuro, i parenti di Messina Denaro avrebbero parlato liberamente, dando loro indicazioni utili sul nascondiglio del capomafia. E invece, pare a seguito di un violento temporale, la lapide, che evidentemente non era stata rimessa perfettamente al suo posto, attirò l'attenzione dei familiari del boss i quali notarono una serie di fili pendere da dietro.

Furono proprio loro a denunciare alla polizia la presenza delle «cimici».

Commenti