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"La nostra cucina è figlia della fame. Gli indigenti mangiano peggio in Usa"

Il gastronomo di Golosaria: "Siamo pieni di ingredienti meravigliosi ed economici. Ma ormai si è rotto il cordone ombelicale col passato"

"La nostra cucina è figlia della fame. Gli indigenti mangiano peggio in Usa"

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Paolo Massobrio è uno scrittore e gastronomo italiano, fondatore di Golosaria, rassegna di cultura e gusto che predilige gli artigiani del cibo ai marchi di lusso. A lui, piemontese di Alessandria, chiediamo del rapporto tra ricchezza e alimentazione.

Massobrio, magari i poveri non mangiano meglio dei ricchi come dice il ministro Lollobrigida, ma tra la povertà e la cucina italiana c'è da sempre un rapporto stretto.

«La madre della cucina italiana, del ricettario italiano ha un nome certo e si chiama fame. Da lì è scaturita tutta la creatività sulle nostre tavole. Prendi le paste ripiene: nascono dalla necessità di riutilizzare gli avanzi della carne».

Ma non c'è solo questa radice...

«Certo, c'è la cucina di corte, i Savoia che imitavano i francesi, la cucina borghese, con i cuochi che andavano a cucinare nelle famiglie benestanti. Ma la vera grande madre è la fame, l'ingegno. Noi siamo questa roba qui. Oggi nei grandi ristoranti si rivaluta questo cibo qui, a partire dal quinto quarto».

Quindi Lollobrigida non ha detto una cosa assurda...

«La dichiarazione di Lollobrigida è fuori contesto storico, perché oggi i poveri mangiano quello che trovano, ovvero prodotti industriali di scarto, che da un punto di vista nutrizionale sono imbarazzanti. Ma non trovano più quello che trovavano i poveri nel Dopoguerra, roba sana».

Ma una persona con poche disponibilità economiche non potrebbe mangiar bene anche adesso?

«In teoria sì, ma il povero deve sbarcare il lunario, certo non va nella cascina del contadino. Dobbiamo restare alla realtà. Il povero mangia l'hamburger del cavolo, la roba che trova al discount».

Però il povero italiano ha opportunità maggiori del povero americano.

«Su questo non c'è dubbio, e questo per una questione di cultura ma anche di struttura del nostro Paese, perché qui hai un'agricoltura di prossimità, i paesini vicini l'uno all'altro. In America è molto diverso, lì mangiano davvero un cibo pessimo».

Ipotizziamo un menu economico di una famiglia: pasta al sugo, pizza, insalate...

«Escluderei la pizza, perché la pizza è prodotto trasformato che ha un ricarico».

Altro?

«Una cosa che non si prende mai in considerazione, che ha permesso la longevità di molte persone è l'uovo. L'uovo non costa nulla e con esso puoi creare una cucina fantastica. Abbiamo un sacco di prodotti straordinari da quel punto di vista anche da un punto di vista salutistico. Il pomodoro... Nei ristoranti non lo trovi ma è ricco di sostanze che fanno molto bene, non è cibo spazzatura».

Non è un po' colpa dei poveri che si sono impigriti su un concetto industriale del cibo rinunciando alla fantasia?

«Questo non è un problema dei poveri ma di tutta la società che ha rotto il cordone ombelicale con il passato. Oggi si spreca un po' per noia, per disattenzione. Ed è anche un problema di educazione».

Insomma non vergogniamoci di avere una cucina povera...

«La cucina italiana è già questa, anche la cosiddetta cucina stellata, chiamiamola così anche se io non amo questo termine, si sta rifacendo esattamente a queste origine.

Tutti i cuochi sono tornati nei boschi a riscoprire il lichene, l'erba, la viridità dei cibi che nascono dalla terra».

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