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Patto ad alta tensione: c'è l'asse Roma-Parigi

Le Maire si schiera con Giorgetti e chiede più flessibilità. Ma Berlino non demorde: si andrà ai tempi supplementari

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«Credo ovviamente alle regole, alla necessità di risanare i nostri conti pubblici, mi sono impegnato per questo e rispetteremo gli impegni assunti» con Bruxelles, ma «queste regole non devono impedire gli indispensabili investimenti, in particolare in materia climatica e di difesa». Il ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire, martedì sera al termine di una cena ha espresso sulla riforma del Patto di Stabilità una posizione molto simile a quella di Giancarlo Giorgetti.

Questo progressivo defilarsi francese dal sostegno a Berlino e al suo ministro delle Finanze, Christian Lindner, è stato determinato proprio dall'insistenza con cui si vuole irrigidire l'impianto della proposta. E quindi Parigi e Roma si sono riavvicinate, almeno su questa materia. «Non si può dire sì a una riforma del Patto che poi non si può rispettare», ha ribadito ieri la premier Giorgia Meloni ospite di Rtl 102.5, spiegando che «è un momento molto delicato». La presidente del Consiglio ha ricordato che «abbiamo il Pnrr, la transizione energetica, il digitale: non si può non tenere conto degli investimenti che l'Europa chiede; stiamo facendo del nostro meglio per costruire una sintesi efficace ma ragionevole». Anche il ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani, ha evidenziato che la possibilità di arrivare a un compromesso in tempi brevi «dipende dalla qualità delle proposte: l'Italia non può accettare condizioni che mettano in difficoltà la nostra economia».

«Si tratta fondamentalmente di riformare le regole in modo da continuare a garantire una politica fiscale orientata alla stabilità in Europa», ha spiegato ieri la portavoce del ministro Lindner sottolineando che l'austerity non è in «contraddizione con la situazione in Germania» dove la Corte costituzionale ha bocciato 770 miliardi di fondi fuori bilancio. Ed è proprio per questo motivo che ora Berlino deve ulteriormente rafforzare la propria immagine di garante del rispetto delle regole, nonostante fino a poco tempo fa avesse nascosto la polvere sotto il tappeto. Tant'è vero che in Germania potrebbero non sopravvivere una serie di sussidi e si potrebbe addirittura definanziare il sostegno all'Ucraina.

Ma che proposte si troveranno sul tavolo i ministri delle Finanze europei domani sera al termine dell'Eurogruppo quando inizierà la lunga maratona sulla riforma del Patto? Nell'ultima bozza in discussione resta fissato il «margine di resilienza» dell'1,5% per il deficit/Pil al termine dei piani di rientro. Insomma, il vecchio tetto del 3% viene dimezzato anche se quel cuscinetto potrebbe essere impiegato esclusivamente per investimenti. Il miglioramento nel bilancio strutturale primario (al netto degli interessi) dovrà essere pari allo 0,3-0,4% del Pil (0,2-0,25% nel caso di un'estensione a 7 anni del piano). Ma per i Paesi con un deficit superiore al 3% del Pil si chiederà comunque un aggiustamento annuo dello 0,5% del Pil. Per il debito resta l'ipotesi di calo dello 0,5-1% annuo. Per la deviazione dei piani si ipotizza lo 0,2-0,5% in un anno e 0,5-0,75% cumulato. In ogni caso, saranno tutelati gli investimenti dei Pnrr nazionali e le spese per la difesa sarebbero considerate «fattori rilevanti» per evitare l'avvio della procedura di extradeficit. Va però segnalato che la Germania considera lasche queste proposte perché escludono la spesa per interessi.

È perciò probabile che siano i capi di governo nel Consiglio Ue del 15 dicembre a pronunciare l'ultima parola.

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