Cronaca giudiziaria

Uccise l'aggressore. Niente sconto: 8 anni

La Cassazione conferma la condanna. La colf colpì l'uomo con 13 coltellate dopo l'ennesima molestia

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Quelle tredici coltellate che Mide Ndreu ha inferto al suo datore di lavoro, uccidendolo, sono troppe per essere considerate una legittima difesa verso chi, secondo la donna, da tempo la molestava. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso della difesa dell'imputata e anche la richiesta della procura generale, che chiedeva un annullamento con rinvio a un nuovo appello per valutare, appunto, l'ipotesi della legittima difesa. Per la donna di origini albanesi, che a novembre di tre anni fa, ha ucciso il pensionato Antonio Amicucci, 68 anni, di Novara, presso il quale lavora come colf è stata quindi confermata la condanna a 8 anni di carcere per omicidio volontario.

Mide Ndreu era stata condannata a 16 anni e mezzo in primo grado a Novara, ma lo scorso anno la Corte d'Appello di Torino le aveva riconosciuto le attenuanti generiche e quella specifica della provocazione, che erano state negate in primo grado, riducendo la pena a 8 anni di reclusione. La sentenza definitiva della Cassazione ha confermato quanto ricostruito dalle indagini dei carabinieri: la donna, dopo aver subito l'ennesima avance sessuale e litigato con il pensionato, aveva impugnato un coltello da cucina e in un raptus d'ira, aveva colpito Amicucci per tredici volte, ferendolo al petto e all'addome. Ferite gravi che, unite ai pregressi problemi di salute della vittima, non gli avevano lasciato scampo. La stessa Mide Ndreu aveva chiamato i soccorsi, raccontando ai carabinieri quanto era accaduto, parlando fin da subito delle pesanti e ripetute molestie da parte del suo datore di lavoro, spiegando di aver reagito d'impeto e senza volontà di uccidere il pensionato. Però la violenza con cui la colf si è accanita sul suo datore di lavoro e i numerosi fendenti inferti, hanno portato la procura a non credere alla tesi della donna che sosteneva la legittima difesa.

Durante il processo d'Appello, Giuseppe Ruffier, l'avvocato di Ndreu aveva ottenuto una perizia psichiatrica sull'imputata, visto che per due volte, all'inizio dell'anno scorso, aveva cercato di togliersi la vita, prima tentando di impiccarsi in casa e poi ingerendo della candeggina. La perizia psichiatrica ha escluso però l'infermità mentale, sostenendo che la donna era capace di intendere e volere e quindi di poter stare a giudizio. «L'imputata - si legge nella relazione psichiatrica - vive una situazione di disagio e di problematiche psicologiche ma che non hanno rilevanza dal punto di vista processuale».

Fino al giudizio in Cassazione, la donna si trovava agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, ora invece dovrà scontare la pena di 8 anni per omicidio volontario in carcere.

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