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La vendetta Dem diventa ossessione. "Impeachment ora ok tra 100 giorni"

Pelosi in pressing: rientro anticipato per votare la messa in stato d'accusa di Trump. Posticipato al Senato Pence: possibile il 25° emendamento

La vendetta Dem diventa ossessione. "Impeachment ora ok tra 100 giorni"

Hanno sconfitto The Donald. E l'hanno delegittimato. Ma ora devono dargli il colpo di grazia. Solo così saranno sicuri di non vederlo risorgere e tornare come candidato alle elezioni del 2024. La più accesa sostenitrice del progetto è l'80enne presidente della Camera Nancy Pelosi: «È essenziale che coloro che hanno perpetrato l'assalto alla nostra democrazia siano ritenuti responsabili. Deve esserci il riconoscimento che questa profanazione è stata istigata dal presidente» scrive l'incarognita speaker della Camera in una lettera indirizzata ai colleghi del partito impegnati a discutere il possibile impeachment del presidente dopo l'assalto di Capitol Hill. Ma il piano non è cosi semplice da realizzare.

Per cavalcare la rumba della messa in stato d'accusa del presidente i dem devono fare i conti con la cabala del 17 e del 19. Diciassette sono i repubblicani che dovranno votare la destituzione e seppellire per sempre le aspirazioni politiche di Trump. Il 19, invece, oltre a essere la vigilia dell'insediamento di Biden, è anche la data che tradizionalmente segna il ritorno degli eletti a Capitol Hill dopo la pausa di fine anno. Dunque per riuscire a votare senatori e deputati dovranno essere convocati prima della fine dalla pausa. L'alternativa è proclamare una destituzione retroattiva dopo l'addio di Trump alla Casa Bianca. Il senatore Mitch McConnell, repubblicano del Kentucky e attuale leader del Senato ha spiegato che il processo d'impeachment non può iniziare prima della data prevista per il rientro, aumentando la prospettiva di un processo retroattivo. Il capogruppo dem della Camera James Clyburn ha lasciato intendere invece che i deputati potrebbero votare l'impeachment già martedì o mercoledì, e ritardare la consegna del testo al Senato. La Camera alta potrebbe attendere i primi 100 giorni di Biden per il via libera.

Neppure il fronte democratico sembra, però, molto compatto. Il primo a voler contenere la furia dell'inviperita Pelosi è il presidente entrante Biden preoccupato di dover guidare un America ancor più divisa e litigiosa. In ogni caso la difficoltà più rilevante per i sostenitori della destituzione sarà trovare i 17 repubblicani disposti a garantire i due terzi di voti del Congresso necessari al passaggio di poteri al vice presidente. Il fantasma che fa tremare i Repubblicani non è tanto quello del corpaccione di Trump, di cui potrebbero bene o male riuscire a disfarsi, ma quello dei 70 milioni di americani che l'hanno votato. Molti si chiedono se quei voti torneranno mai al vecchio partito e, soprattutto ai loro collegi. O se invece resteranno una proprietà di Trump o del suo eventuale erede designato.

Altri dubbi attanagliano invece il numero due Mike Pence che proprio ieri ha annunciato ufficialmente la partecipazione alla celebrazione d'insediamento del presidente eletto Joe Biden del 20 gennaio. L'annuncio segna l'ennesima rottura pubblica con un Trump deciso a disertare il passaggio di poteri. In verità Pence aveva già voltato le spalle al presidente nelle prime ore dell'assalto al Congresso. Il numero due della Casa Bianca sa quindi di esser considerato alla stregua di un Giuda dal presidente e dai suoi seguaci. Ma sa anche di essere l'uomo decisivo per garantire alla Pelosi e ai democratici la realizzazione dei loro piani. Spetta infatti al vicepresidente - in accordo con la maggioranza dei 15 principali membri del governo - stabilire l'incapacità del presidente per il 25° emendamento, chiedendo poi al Congresso di prenderne il posto come sostituto «ad interim». Nelle riflessioni di Pence quel parricidio potrebbe infliggere uno scossone alla destra americana riconducendola a un ovile più moderato e spingendola a consegnargli la guida del partito o di quanto ne resta.

Ma secondo una fonte della Cnn Pence, e la squadra di repubblicani a lui più vicini, temono anche che un Trump messo con le spalle al muro risponda alla destituzione con un'azione affrettata capace di mettere a rischio il Paese.

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