Cultura e Spettacoli

Ferrero, il genio liberale che scoprì il "cesarismo"

Allievo di Lombroso, è stato tra i padri della sociologia. I suoi studi su Roma e su Napoleone hanno fatto scuola

Ferrero, il genio liberale che scoprì il "cesarismo"

Un secolo e mezzo fa, il 21 luglio 1871, a Portici nasceva Guglielmo Ferrero: uno degli intellettuali più originali del Novecento italiano e uno dei più fini analisti del fenomeno politico, da lui osservato per cinque decenni lungo molteplici prospettive. In effetti, Ferrero è un intellettuale che in inglese verrebbe definito polymath, dato che la sua produzione scientifica è particolarmente eclettica, spaziando da una disciplina all'altra.

I primi studi furono in giurisprudenza a Pisa e Torino, oltre che in letteratura italiana a Bologna. Nel capoluogo piemontese Ferrero conobbe Cesare Lombroso e si trattò di un incontro decisivo da tanti punti di vista: l'avvicinò alla sociologia giuridica e all'antropologia, e favorì pure la sua adesione al socialismo. Un frutto di quella stagione è l'opera che Ferrero scrisse nel 1893, a quattro mani con Lombroso stesso, intitolata La donna delinquente. Qualche anno dopo egli sposerà proprio una delle figlie del maestro, Gina Lombroso.

La militanza di Ferrero nella sinistra gli comportò una serie di guai giudiziari. Questo l'obbligò a lasciare il Paese e visitare varie realtà europee, dove sviluppò interessanti riflessioni sul mondo contemporaneo. Uno degli esiti maggiori si trova nel volume L'Europa giovane (del 1896), basata su una netta contrapposizione tra i Paesi europei latini e quelli settentrionali: nei primi prevarrebbero logiche clientelari e parassitarie, mentre nei secondi si sarebbe imposto un capitalismo industriale in grado di offrire opportunità di ascesa a tutti e favorire la massima collaborazione sociale.

In tutti questi anni Ferrero opera fuori dall'università. Egli è un intellettuale di tipo nuovo, che pubblica libri e collabora con giornali, intrattenendo rapporti con studiosi di tutto il mondo. In questa fase egli inizia a lavorare all'opera che gli darà la massima celebrità: un lavoro monumentale intitolato Grandezza e Decadenza di Roma che si compone di cinque volumi pubblicati dal 1901 al 1907 e che sarà interamente dedicato al periodo segnato da Giulio Cesare e Ottaviano Augusto. Lo studio, che ebbe un'enorme risonanza, sarà subito tradotto in lingua francese e il clamore suscitato da questa opera è confermato dal fatto che Ferrero fu invitato dal presidente Theodore Roosevelt negli Usa, dove tenne una serie di lezioni.

Il prestigio dello storico italiano fu tale che nel 1910 il nostro governo provò a creare una cattedra di filosofia della storia appositamente per lui, ma non vi riuscì per l'opposizione di larga parte dell'intellighenzia italiana (e, in primo luogo, di Benedetto Croce).

Questi sono anni duranti i quali Ferrero s'avvicina sempre più alle tesi liberali. Egli è uno dei principali artefici della Lega antiprotezionistica e quando Benito Mussolini prende il potere è tra i firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti.

Per lui inizia un periodo difficile, durante il quale non gli è possibile esprimere le sue idee. Non per questo smette di scrivere, dato che negli anni Venti lavora lungamente a un monumentale lavoro di narrativa: La Terza Roma. Nell'insieme, si tratta di ben quattro romanzi che delineano un'autentica saga ambientata in parte a Roma e in parte nell'Africa della colonizzazione italiana.

La vita di Ferrero conosce una svolta cruciale nel 1930, quando finalmente ottiene la nomina a professore di storia all'università di Ginevra. Rimarrà in Svizzera dodici anni, fino alla morte nel 1942, e in questo periodo si reinventerà una volta di più: esplorando temi nuovi, rafforzando i suoi convincimenti liberali (il socialismo giovanile sarà ormai davvero lontano), sviluppando una crescente ammirazione per la civiltà elvetica caratterizzata da pluralismo culturale, autogoverno cantonale, democrazia diretta.

I lavori di questa fase della sua esistenza sono essenzialmente concentrati sulla storia europea tra fine Settecento e primo Ottocento. In particolare, egli indaga la campagna italiana di Napoleone (Avventura, del 1936) e il ruolo giocato da Talleyrand durante il Congresso di Vienna (Ricostruzione, del 1940). Le due ricerche storiche serviranno da base per quello che è l'ultimo e forse il più noto dei suoi libri, Potere, che uscirà postumo. In questo lavoro Ferrero porta a compimento la sua riflessione sul cesarismo, che trae origine non soltanto nei suoi studi sulla storia romana, ma anche in molte pagine di fine Ottocento contro l'Italia di Francesco Crispi.

In sostanza, egli cerca di comprendere in che modo una società aperta e socialmente articolata possa essere egemonizzata da un singolo. Le sue analisi che affascineranno anche un sociologo come Luciano Pellicani, che contribuirà non poco alla Renaissance degli studi su Ferrero è focalizzata sulla paura che domina gli uomini di potere quando si ha una rottura di continuità.

In Potere si sottolinea che tanto Napoleone quanto Mussolini furono in qualche modo costretti ad assumere atteggiamenti dispotici anche perché non avevano un passato: il loro potere non era protetto da alcuna tradizione e quindi la loro posizione poteva essere occupata da chiunque. All'indomani di ogni terremoto rivoluzionario, insomma, accedono al potere uomini nuovi che potrebbero essere sostituiti da qualsiasi altro e per questo motivo essi vedono nemici ovunque.

In queste pagine Ferrero che morirà a Mont Pèlerin, proprio dove cinque anni dopo Hayek fonderà l'associazione che riunisce i liberali di tutto il mondo elabora una difesa della libertà individuale che ricorda il conservatorismo liberale David Hume e mostra una grande consapevolezza del fatto che la civiltà si delinea nel corso del tempo, mentre ogni frattura improvvisa rischia di far precipitare l'umanità nel dispotismo, nel caos, nella violenza.

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