Cultura e Spettacoli

"Scrivere è come spiare". Parola dell'autore-talpa

Lo scrittore britannico è morto a 89 anni. Nei suoi thriller, l'opposto di 007: l'agente Smiley

"Scrivere è come spiare". Parola dell'autore-talpa

John Le Carré, morto sabato notte all'età di 88 anni, era nato nel 1931, nel Dorset. Lo scrittore è deceduto a causa di una polmonite al Royal Cornwall Hospital, a Treliske. La malattia, si legge in un comunicato della sua agenzia letteraria, non era collegata al Covid-19. Lascia la moglie Jane e 4 figli. «Per sei decenni - si legge nella nota - John Le Carré ha dominato le classifiche dei bestseller con il suo monumentale corpus di opere». In effetti Le Carré ha scritto 25 romanzi e un'autobiografia. In tutto il mondo sono state vendute più di 60 milioni di copie dei suoi libri. Nel 1965 il regista Martin Ritt dirige il primo di una lunga serie di adattamenti cinematografici dei suoi romanzi, scegliendo La spia che venne dal freddo, attore protagonista Richard Burton.

All'epoca si chiamava David John Moore Cornwell. Dopo essersi laureato in letteratura tedesca al Lincoln College, a Oxford, viaggia per la Svizzera, per perfezionare la pronuncia. Viene avvicinato per la prima volta dai servizi segreti. In seguito è docente di lingue a Eton. Negli anni Cinquanta, è reclutato dal Foreign Office. Trasferito al Consolato d'Amburgo, diventa agente del servizio segreto MI6. Dal tranquillo insegnamento in università elitarie del Regno Unito al rischio di beccarsi una pallottola dai sovietici. Un bel salto. Tre anni fa, aveva spiegato la sua decisione con queste parole: «Non so perché sono diventato una spia. Magari per assaporare quell'infanzia felice che non ho avuto». Il padre Ronnie era un truffatore di professione, galeotto e sospettato di essere un agente della Stasi: «Tanti indizi mi fanno credere che lo fosse, ma resterà un mistero. Di certo è stato lui ad avvicinarmi ai servizi segreti, conosceva bene quel mondo». Nel 1964, è costretto a lasciare a causa dell'infiltrato più famoso di tutti i tempi, Kim Philby, un agente di alto profilo, peccato fosse un uomo del KGB sotto copertura dal 1936.

Nel frattempo Le Carré ha scritto il suo primo romanzo nel 1961, Chiamata per il morto (in Italia uscì per Feltrinelli nel 1965). Nel 1963 pubblica il romanzo che lo consacra come bestsellerista e scrittore di caratura mondiale: La spia che venne dal freddo (prima edizione italiana, Longanesi, 1964). Insomma, l'addio ai servizi non lo trova impreparato. Il caso Philby finisce al centro de La talpa (Mondadori, 1974), forse il romanzo di Le Carré oggi più noto. Il protagonista è l'agente George Smiley, timido, dimesso, tradito dalla moglie, insomma il contrario di James Bond, altra creatura di uno scrittore, Ian Fleming, dai trascorsi nei servizi britannici. Le Carré: «È il meglio di me, ammiro il suo senso del dovere, il suo impegno e la responsabilità che sente verso il prossimo. Siamo cresciuti assieme, io e Smiley, era presente nella prima pagina del mio primo romanzo. Ma quando è diventato troppo famoso, l'ho accantonato». Smiley torna in Un passato da spia (Mondadori, 2017).

Come scrittore, Le Carré esalta due fattori fondamentali. Il primo: la routine: «Fa parte della mia quotidianità. Quando termino un libro, comincio subito quello successivo. Inizia tutto dai due o tre personaggi che ho in testa. Posso avere un'idea generale, mentre la trama nel suo dettaglio emerge solo durante la scrittura. Ma fin da subito conosco l'immagine finale che voglio raggiungere con il libro, e la ricerco attraverso la storia». Secondo: l'informazione: «Sono stato ovunque per raccogliere informazioni per i miei libri. Ho incontrato chiunque avesse qualcosa da dirmi, millantatori o capi. Sempre a disposizione, a qualsiasi ora del giorno e della notte. La regola era trascrivere tutto, il prima possibile, per non dimenticare nulla. D'altronde essere una spia non è poi così diverso dallo scrivere libri».

Niente di strano, eppure Le Carré riesce a essere inimitabile. Nei suoi libri, spesso, la trama è affidata al dialogo serrato tra pochi personaggi, che ricordano, spiegano, depistano, cercano di ingannarsi... Di fatto la storia è già avvenuta o sta avvenendo altrove. Eppure, la bravura di Le Carré è tale da sopperire alla mancanza di azione in presa diretta (in alcuni romanzi echeggia al massimo un colpo di pistola). I dialoghi sono elettrizzanti, tengono sulla corda, sottintendono raffinatezza psicologica ed esprimono una fantastica ironia british.

Legato al mondo della guerra fredda, Le Carré ha saputo descrivere anche la lotta al terrore e il nuovo mondo ultraviolento dei mercenari. Era rimasto aggiornato: «Non sono un vecchio con il vizio di rimpiangere il passato. Ma ho avuto la fortuna di vivere lo spionaggio non violento. Oggi è tutto cambiato, il mondo è più inquieto di prima, è più difficile distinguere i buoni dai cattivi. Il maggiore rischio oggi non è una nuova Guerra fredda, ma il fattore imprevedibilità. Come la Corea del Nord, e per certi versi anche l'Isis, che sfugge alle logiche d'ingaggio di un tempo. Minacce terribili, perché ogni sforzo, militare o diplomatico che sia, rischia di risultare inutile».

Radical chic, ospite fisso alle proiezioni di casa Kubrick, Le Carré ogni tanto eccedeva nelle dichiarazioni politiche. Fece molto discutere la sua presa di posizione su Salman Rushdie ai tempi della fatwa scagliata da Khomeini contro lo scrittore dei Versi satanici (1989). La ex-spia definì Rushdie un «cretino» prima di lanciarsi in un'aperta polemica contro lo scrittore rivale: «Non esiste una legge di natura o dello Stato secondo la quale le grandi religioni possono essere insultate impunemente». E aggiunse che la maggior preoccupazione di Rushdie erano i «diritti d'autore». Iniziava così una delle faide letterarie più lunghe di tutti i tempi: «Rushdie piega la verità ai propri comodi» diceva Le Carré; «Le Carré è un inutile borioso ignorante» rispondeva Rushdie.

La pace fu suggellata soltanto nel 2012.

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