Calcio

"Questa stella è più sofferta di quella vinta da noi. Però..."

Intervista a Gianfranco Bedin, nel '66 centrocampista della Grande Inter che conquistò il 10° scudetto. "Noi con Herrera predestinati. Il successo di oggi frutto di un percorso"

Gianfranco Bedin nella Grande Inter di Herrera
Gianfranco Bedin nella Grande Inter di Herrera

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«Questa stella è stata più vissuta, attesa, con pathos, entusiasmo. Per noi, nel 1966, non fu così. Sapevamo di poter conquistare lo scudetto: era la Grande Inter. Trovavamo normale vincere. Ci bastò battere, nel finale, Milan e Juve per dimostrarlo. Questa seconda stella porta tanta roba: anche l'idea di averla vinta prima del Milan». Gianfranco Bedin, classe 1945, parla come giocava: corre e corre, travolgente. Nella chiacchiera l'istinto da gol del centravanti arrivato a 14 anni nelle giovanili nerazzurre da San Donà del Piave. Ma nel pesare passato e presente ecco il centrocampista lanciato dal Mago, così lo chiama ancora: uomo a tutto campo. Oggi ha sempre la maglia dell'Inter: «gioca» da osservatore. Nerazzurro dentro. «Sono tempi davvero diversi. Una volta prendevano un Bedin da San Donà del Piave, uno venuto dall'oratorio e mica potevi chiamarlo rinforzo per la Grande Inter. Come fosse un Frattesi per quella di oggi. Allora arrivavamo da 10 ore al giorno di gioco all'oratorio. Tecnicamente più pronti, ma culturalmente meno formati».

Difficile paragonarsi?

«Questa Inter ha un gruppo di eccellenti calciatori. Il gioco è un bel vedere. Palleggiano bene, ottima combinazione. Nel 1966 c'erano Suarez, Mazzola, Corso, Jair: quattro fenomeni. Oggi a quei livelli forse non ce n'è. Suarez è stato uno dei più grandi. Luis era squadra: grande personalità nello spogliatoio e in campo. Anche con gli arbitri. Quando parlava lui, tutti attenti. Lui e Picchi: due trascinatori».

Questo calcio è diverso?

«Noi marcavamo a uomo, oggi a zona. La cosa davvero diversa, forse non comprensibile, è questa: dal venerdì eravamo in ritiro, poi tornavamo in ritiro domenica sera perché mercoledì c'era la coppa Campioni. Riposavi il giovedì e di nuovo venerdì ritiro. Era troppo, ci stancava. Abbiamo perso così una coppa dei Campioni e uno scudetto col Mantova».

Inter ieri e oggi: chi traslocare nel passato?

«Tecnicamente questo calcio è inferiore. Ora si basa sulla forza. Jair e Mazzola erano molto rapidi e tecnici, andavano subito in porta. Oggi c'è più palleggio. Allora palla a Corso o Suarez e con 4 passaggi andavi in gol. Con noi avrei visto Barellino: contrasta, va dentro, segna gol».

Le difese?

«Questa prende poche reti. Acerbi è un grande acquisto: difensore vecchio stile per carattere e caratteristiche. Da noi Guarneri saltava di testa quanto Osimhen, Ronaldo, Thuram. E in aria sapeva indirizzare il pallone: non lo buttava. C'era Picchi: intelligenza unica, arrivava prima della palla».

Avevate Facchetti, terzino allora moderno...

«Ho visto Bastoni in grande crescita. Eccezionale sia nel piede, sia nella corsa. Diventerà un grande giocatore: è il Facchetti della situazione. Una forza della natura, un bel sinistro. Ed è marcatore».

Sulla fascia c'è Dimarco. Certo, non Facchetti

«Da metà campo in poi Dimarco è una grande ala sinistra: ha piedi come pochi. Calcia da 25 m. con precisione incredibile. Lo vedo fluidificante. Facchetti era più difensivo: una forza della natura».

Bedin, mediano di corsa, nel derby si prese il lusso di fare tunnell a Riverae Gianni Brera lo annotò.

«Brera ce l'aveva con Rivera, ma Gianni è stato uno dei più grandi: con lui in campo era sempre un altro Milan. Io sono stato una scommessa di Herrera. Eppure potevi marcare chiunque, poi ci pensava il Mago a metterti a posto. Giochiamo a Catania e mi dice: stai attento, anche se questo non si chiama Rivera. E l'avversario mi fa tunnell e contro tunnell. Per due domeniche mi ha lasciato fuori. Poi mi dice: ti sei arrabbiato? Bene, pensa io. Questo era HH».

Herrera potrebbe essere il Mago anche oggi?

«Due epoche troppo distanti. Ora si lavora con tablet e computer. La preparazione è diversa, un mondo diverso. Allora avevi Corso, Mazzola, Suarez. Oggi Calhanoglu e Mikhytarian. Mazzola faceva 20-25 gol e andava via di velocità e tecnica. Lautaro è punta con i fiocchi, un Mazzola di oggi: sul primo palo va bene come pochi. Davanti avevamo Milani che faceva sponde per tutti. Oppure Peirò: il Thuram odierno».

C'è qualcosa che rassomiglia HH e Inzaghi?

«Difficile. HH ci diceva tutto prima della partita. Poi, in panchina, scriveva e rimaneva seduto. E se non giocavi come voleva, ti puniva. Inzaghi ti tira fuori. Non avevamo cambi. Inzaghi ne ha cinque. HH aveva 13-14 giocatori, Inzaghi ne ha 20-25».

Due tecnici stellati per due squadre stellate

«Vero. Ma la prima stella era quasi dovuta, sapevamo di poterla vincere. Questa è frutto di un percorso. E l'avremmo vinta prima se non avessimo perso noi, dico perso noi, l'ultimo scudetto vinto dal Milan».

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