Tokyo 2020

Zakia, i talebani e il sogno perduto

Doveva essere la prima donna afghana alle Paraolimpiadi: non ci sarà

Zakia, i talebani e il sogno perduto

Zakia significa Luminosa e, probabilmente, lo sarebbe stata anche nella avventura che lo sport le aveva prospettato: essere la prima donna afgana a partecipare alle Paraolimpiadi. Ma Kabul è caduta e sono svaniti pure i sogni di Zakia Khudadadi, una ragazza di 23 anni, dal viso rotondo e il sorriso davvero luminoso, il velo aderente anche nella tenuta da lottatrice del taekwondo, la sua specialità. Zakia è disabile dalla nascita, la passione ha preso corpo dalle imprese di Rohullah Nikpai, atleta afgano del taekwondo che, ai Giochi di Pechino 2008 e a quelli di Londra 2012, conquistò due bronzi: un eroe nazionale visto che, in 14 partecipazioni, l'Afghanistan non ha visto altri podi. Era tutto pronto: Zakia e Hossein Rasouli, discobolo paraolimpico senza il braccio sinistro, perso per lo scoppio di una mina, dovevano essere imbarcati sull'aereo per Tokyo, ma il destino aveva altri interessi. E nessun progetto. La presa di Kabul, da parte talebana, ha impedito la partenza fissata per lunedì scorso. La gente cercava di scappare dal Paese, altro che volo verso i sogni olimpici. Il comitato afgano ha cercato una soluzione aerea, anche dispendiosa, ma invano. La partecipazione olimpica è stata annullata. E Zakia rischia di più, molto di più: lei, giovane atleta, che interpretava una sorta di indipendenza femminile e umana che i talebani non accettano. «Ora le vite delle donne afgane sono in pericolo. Devo dire loro di tacere e scomparire» ha raccontato, al Washington Post, Khalida Popal capitana della nazionale di calcio femminile, da diversi anni costretta all'esilio in Europa.

Zakia è della provincia di Herat, sul profilo Instagram sono segnalati un migliaio di followers ma ora, che la storia è conosciuta al mondo, saranno molti di più. Non è stato facile applicarsi al taekwondo in un Paese dove è difficile qualunque sport: soprattutto per una donna. Zakia si allenava in palestra con i ragazzi. Parchi, giardini, garage erano i suoi campi di allenamento. Il Covid 19 ha creato ulteriori difficoltà, ma per lei era stata ottenuta una wild card, categoria K44 riservata ad atleti con amputazioni o perdite funzionali alle braccia o mancanza di dita dei piedi. In due mesi ha cercato di allenarsi al meglio, voleva far vedere cosa significava essere donna con disabilità in Afghanistan: lottatrice su ogni fronte. «Ero emozionatissima», ha raccontato. Ed invece ora: «Stavamo facendo la storia, poteva essere un modello per il suo Paese», ha ammesso al Guardian Arian Sadiqi, il capo delegazione olimpico.

Ora, invece, Zakia dovrà difendere se stessa.

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